Cerca

Notizie dal mondo

Ungheria, il Pride finisce in Costituzione: vietato. Orbán cancella i diritti LGBTQ+ e riscrive il genere

Il Parlamento ungherese approva un emendamento che vieta le marce dell’orgoglio, definisce il sesso solo come maschile o femminile e introduce il riconoscimento facciale per multare i partecipanti

Ungheria, il Pride finisce in Costituzione: vietato. Orbán cancella i diritti LGBTQ+ e riscrive il genere

Un colpo di penna, 140 voti favorevoli e una manciata di dissidenti che, inascoltati, gridano al Parlamento ungherese: non in nostro nome. Il premier Viktor Orbán cala l’ennesimo asso e fa entrare in Costituzione il divieto al Pride, affondando un colpo diretto alla libertà di espressione e alla comunità LGBTQ+. Dietro la facciata di tutela dei minori, si consuma un’operazione chirurgica di repressione ideologica.

Il nuovo emendamento, approvato a larga maggioranza, non si limita a vietare la marcia dell’orgoglio queer. La strategia è più sottile, più perversa: si stabilisce il primato del “corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale” dei bambini su ogni altro diritto, persino sulla libertà di riunione pacifica. Un escamotage, nemmeno troppo elegante, per giustificare la censura preventiva.

Ma non è tutto. La nuova Costituzione riformata stabilisce che il sesso è una caratteristica “biologica”, “maschile o femminile”: una cancellazione legale delle identità trans e intersessuali. Lo Stato non riconosce più chi non rientra nei suoi rigidi binari. Altro che difesa dell’infanzia: è una riscrittura dell’identità umana a colpi di ideologia.

Il testo approvato apre le porte all’uso del riconoscimento facciale durante le manifestazioni, con possibilità di sanzionare i partecipanti. Un dispositivo degno dei manuali di sorveglianza di massa, giustificato come “protezione del benessere dei bambini”. Ma la verità è un’altra: si legittima la repressione preventiva, si imbavaglia il dissenso, si scoraggia ogni forma di aggregazione libera.

Come se non bastasse, l’emendamento introduce nuove norme anche sul fronte della sovranità: cittadini ungheresi con doppia cittadinanza potranno essere privati della nazionalità se considerati una “minaccia” alla sicurazza nazionale. Una minaccia dai contorni vaghi, che lascia spazio a interpretazioni arbitrarie e pericolosamente punitive.

La stretta prosegue con la proroga dei poteri di emergenza: lo stato d’eccezione, attivato con la guerra in Ucraina, potrà essere mantenuto a tempo indeterminato con la sola approvazione dei due terzi del Parlamento. Una clausola che, nelle mani di una maggioranza solida e impermeabile come quella di Orbán, equivale a un lasciapassare permanente.

Si aggiungono anche norme più “popolari” – come la tutela dei pagamenti in contanti e pene detentive per microdosi di droga – per distrarre l’opinione pubblica e rassicurare i cittadini più conservatori. Ma la logica è sempre la stessa: consolidare il controllo, eliminare le zone grigie, cancellare ogni voce fuori dal coro.

E mentre a Budapest i manifestanti tentano di bloccare fisicamente l’ingresso in Parlamento, le organizzazioni per i diritti umani – come l’Hungarian Helsinki Committee – parlano senza mezzi termini di “una significativa escalation negli sforzi del governo per reprimere il dissenso”.

Il partito d’opposizione Momentum chiama alla mobilitazione: “Impediamo loro collettivamente di guidarci sulla strada di Putin e di privarci della nostra libertà”.

Un grido di battaglia che riecheggia tra le strade della capitale, mentre il governo mette le mani non solo sulle leggi, ma anche sulla narrazione pubblica.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.