“Pragmatica e concreta”. Così il Cremlino descrive la telefonata durata circa un’ora tra Vladimir Putin e Donald Trump. Al centro del colloquio: la guerra in Ucraina, ma anche Siria, Iran e la stabilità (o quel che ne resta) del Medio Oriente.
Da Mosca arriva un’apertura apparente: “Siamo favorevoli a una soluzione diplomatica”, avrebbe detto Putin, secondo il consigliere presidenziale Yuri Ushakov, citato dall’agenzia Ria Novosti. Ma è un sì con mille asterischi. Perché subito dopo arriva la precisazione che azzera ogni spiraglio: “La Russia non rinuncerà ai suoi obiettivi”.
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Quella che Putin definisce una “soluzione negoziale” sembra avere le sembianze di un ultimatum mascherato. I “profondi motivi” che hanno portato al conflitto – parole di Ushakov – non sarebbero in discussione. Tradotto: Mosca continuerà a perseguire il disarmo ucraino, la neutralità di Kiev e l’egemonia russa sui territori contesi. La telefonata, insomma, sancisce una linea: apertura diplomatica formale, ma fermezza sostanziale.
Nessun accenno – almeno ufficialmente – al recente stop di Washington all’invio di armi all’Ucraina, tra cui missili Patriot, Himars e Stinger. Una decisione che ha fatto tremare Kiev e gioire il Cremlino. Ma la coincidenza temporale con la telefonata resta ingombrante.
Non solo Ucraina. I due leader hanno discusso anche della guerra in Siria, del dossier Iran e delle tensioni regionali. “Le divergenze vanno risolte solo con mezzi politico-diplomatici”, insiste la Russia. Una linea che stride con i bombardamenti su Odessa avvenuti poche ore dopo.
Zelensky: “Putin e Trump sono diversi. Serve un vertice al massimo livello”
Dalla capitale ucraina arriva la replica di Volodymyr Zelensky. Sobria ma netta. “Non so se Putin e Trump abbiano molte idee in comune, sono persone diverse”, ha dichiarato il presidente ucraino. Poi il messaggio diretto agli alleati occidentali: “Siamo pronti a negoziare in qualsiasi formato, ma in Russia decide solo Putin. Serve un vertice al più alto livello”.