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Il caso
19 Novembre 2025 - 08:26
Un ciuccio in bocca. La tendenza che impazza online per calmare “stress e ansia” è diventata quasi una metafora perfetta per raccontare quello che succede, ogni giorno, in corso Maroncelli. Perché, a ben vedere, spacciare dalla tarda mattinata fino a notte fonda deve avere i suoi livelli di pressione.
Guardare a destra, controllare a sinistra, rispondere al telefono, individuare il “gancio” che arriva in monopattino. Restare fermi nello stesso punto a garantire il “servizio”.
E sperare che nessuno si muova fuori copione. Quel punto preciso - tra l’entrata a Torino della radiale che arriva da Moncalieri e l’ombra lunga di quella che un tempo era la zona della Fiat - oggi è la nuova piazza del crack. Un angolo che fino a qualche anno fa esponeva arredi da esterno e maxi pupazzi.
Le auto rallentavano per guardare quei mostri di peluche, le sdraio, i gazebo colorati. Oggi non c’è più nulla di tutto questo. C’è la droga. E un’organizzazione che, osservata da vicino per una giornata intera, ha il ritmo automatico di un ingranaggio oliato. Tra le panchine si alternano una ventina di persone. Tutti stranieri.
Non è chiaro di quale generazione: è chiaro solo che per questa generazione lo spaccio è una forma di economia “circolare”. E, a modo loro, “sostenibile”.
Perché lo scambio viaggia sul monopattino: si prende, si carica, si monta sul mezzo, spesso con il casco allacciato, e si riparte verso il prossimo cliente.
L’indirizzo più frequente? Piazza Bengasi. Quello che un tempo era il luogo di vendita e ora è solo la destinazione del “delivery”. Lì, dove c’è anche il capolinea della metropolitana, ora il cantiere del nuovo parcheggio sotterraneo li ha sfrattati dalla piazza dove fino a poco fa si muovevano senza troppi ostacoli.


Italia ’61 è fuori gioco da un pezzo: quel parco è stato raccontato troppo dai giornali, troppi occhi addosso, troppa luce. Ha ospitato pusher e tossicodipendenti per l’estate passata, adesso non è più idoneo. Serviva un posto nuovo.
E corso Maroncelli, con quell’area verde incastrata tra due lati chiusi al traffico, era perfetto. Un teatro piccolo ma funzionale, invisibile quanto basta per lavorare senza attirare rumore, ma comodo per chi arriva da Torino o da Moncalieri. Inoltre, dall’altro lato, via Ventimiglia, c’è un parcheggio: anche quell’angolo è un ottima scoperta per gli spacciatori, non sono molte le auto parcheggiate, non si dà nell’occhio a passarci, fingendo di avvicinarsi alla propria auto. E appunto, basta attraversare per potersi andare a rifornire di altra “merce”.
La gente che passa si gira semplicemente dall’altra parte, evitando qualsiasi tipo di conflitto sul nascere. E così, quella che un tempo era la zona degli operai e delle automobili, adesso è quella degli spacciatori e dei monopattini. Almeno adesso, molti mettono il casco.
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