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Il caso
13 Luglio 2024 - 12:08
Avvolte dalla muffa, senza riscaldamento e sommerse dal degrado. Nel piano di sopra del bazar di via Asti, a Santena, gli ex gestori del negozio avevano allestito otto camere da letto abusive. Facevano dormire qui i loro lavoratori, tra impianti elettrici pericolanti, modificati artigianalmente, centraline senza protezioni e pericolosi oggetti infiammabili accumulati alla rinfusa.
Li facevano lavorare senza contratto o con contratti inadeguati alle loro mansioni e ai loro ruoli, pare, in condizioni di sfruttamento. Anche per questo, da aprile, il punto vendita era stato chiuso al pubblico. Adesso, i tre imprenditori che lo gestivano, tutti di origini cinesi, sono stati denunciati per sfruttamento del lavoro nero e reati tributari. Intanto, da giugno, il bazar ha riaperto. «Non abbiamo niente a che fare con chi lavorava qui prima di noi – mette in chiaro Elena Zhao che, stamattina, posizionava nuovi prodotti sugli scaffali e si presentava come nuova responsabile del negozio – Quando siamo arrivati, il piano di sopra era stato del tutto sgomberato. Non c’era più traccia del dormitorio e, attualmente, i locali sono vuoti».
Elena Zhao, la nuova responsabile del negozio di Santena (nella foto sopra)
L’inchiesta che ha fatto emergere la vicenda era partita a febbraio 2023 e riguarda anche due punti vendita di Carmagnola. Sono collegati con quello di Santena, visto che hanno la stessa legale rappresentante, anche lei di origini orientali. Secondo i finanzieri, gli imprenditori che li gestivano sono un «sodalizio criminoso» tanto che 28 persone, per loro conto, lavoravano in nero. Dagli elementi raccolti finora, inoltre, gli imprenditori finiti nei guai erano degli "habitué" dell’evasione. Devono rispondere di 4 milioni di euro di redditi non dichiarati e 1,5 milioni di imposta sul valore aggiunto mai versati all’erario. Per le loro presunte frodi fiscali, seguivano il metodo “apri e chiudi”: appena divenivano insolventi nei confronti dell’amministrazione finanziaria, ecco che trasferivano il complesso aziendale (personale, attrezzature, magazzino) a una diversa impresa, “ovviamente” costituita ad hoc. Mutando formalmente la ragione sociale e il numero di partita Iva, continuavano a operare con gli stessi clienti e fornitori e speravano di farla franca. Ora che sono stati scoperti, hanno dovuto chiudere anche i bazar di Carmagnola e rischiano di dover rispondere delle loro azioni davanti ai giudici dei tribunali di Asti e Torino, entrambi al lavoro sulla questione. I finanzieri, poi, hanno sequestrato 28.500 articoli che erano pronti a essere venduti nei magazzini. Sono soprattutto materiali da ufficio e oggetti di falegnameria, contraffatti o insicuri.
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