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l'intervista
20 Ottobre 2025 - 05:30
Chiomonte, sole e aria d’autunno. Davanti al ristorante Don Ciccio, qualche cliente entra, saluta, chiede un pezzo di pane appena sfornato. Quello che Luca Vincenzo Milione impasta ogni mattina e mostra sui social, nei video in cui racconta il suo lavoro, i gesti di sempre. Dentro il locale si respira un’aria di calma che sa di tregua. Da ventiquattr’ore Luca ha ricevuto la notizia che attendeva da più di un anno: la Procura di Torino ha chiesto l’archiviazione. Dopo quindici mesi di indagini, dopo le accuse di scomparsa, omicidio e occultamento di cadavere, Milione dice che «si inizia a vedere una luce in fondo al tunnel». La notte tra il 7 e l’8 marzo 2024, da quella stessa pizzeria usciva Mara Favro, dipendente del locale.
Poi, il silenzio. La donna venne ritrovata un anno esatto dopo, il 7 marzo 2025, a Gravere, in fondo a uno strapiombo di oltre settanta metri, appena tre chilometri da Chiomonte. Da quella notte, il nome di Milione è diventato sinonimo di sospetto. I media, le dirette, i titoli.
Una vicenda che ha tenuto l’Italia con il fiato sospeso, e trasformato Chiomonte nella Garlasco della Valsusa. Giornalisti, residenti, curiosi e pure turisti si sono alternati ogni giorno davanti alla porta del ristorante, qualcuno solo per guardare dentro, altri per scattare una foto. Il paese si è ritrovato al centro di un caso di cronaca nera che, per mesi, ha divorato vite, tempo, reputazioni. «Avevo il locale sempre vuoto e in tanti mi hanno voltato le spalle. Quindici mesi marchiato come un mostro», racconta Milione. «Viviamo in un’epoca in cui le persone sono morbose, si attaccano alla tragedia come fosse un racconto da seguire a puntate. La mia unica paura era che i miei precedenti penali pesassero. Che la gente vedesse solo quello». L’avvocato Luca Tommaso Calabrò parla della richiesta di archiviazione come di «un passaggio processuale importante. La Procura, dopo mesi di indagini, ha ritenuto che non vi siano elementi a carico del mio assistito. Esiste la possibilità di un’opposizione da parte della persona offesa, ma è comunque un momento di soddisfazione e fiducia nei confronti della magistratura, che ha restituito una verità conforme a quella sempre sostenuta da Milione».
Attorno al caso Favro restano ancora domande sospese, fili che non si sono mai del tutto intrecciati. «Il fratello di Mara l’ho conosciuto – dice Milione –. Era venuto a mangiare qui, quando lei lavorava con me». Da quanto si ricostruisce, la donna non aveva rapporti stretti nemmeno con i parenti più prossimi. E oggi, a loro, cosa direbbe Milione? Si ferma, abbassa lo sguardo. «Se qualcuno ha ammazzato Mara, è giusto che sia fatta giustizia. Ma l’autopsia non ha mai detto che si tratti di assassinio. Potrebbe essere stato un incidente. E in quel caso non serve un colpevole». Poi torna sul punto che, da mesi, non gli dà pace: «Le indagini dovevano cercare un movente. Chi poteva voler morta Mara? Chi poteva guadagnarci? Io no. Per me era una lavoratrice eccezionale, precisa, pulita, attenta ai dettagli. Una come lei non la troverò mai più».
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