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IL MEDICO RISPONDE

Il Covid fa ancora paura? Ecco come è cambiato il virus

Ne abbiamo parlato insieme al direttore del reparto Pneumologia Università della Città della Salute Paolo Solidoro

Come è cambiato il Covid negli ultimi quattro anni? Serve ancora vaccinarsi? E infine, che cos’è il Long Covid e come curarsi. Ne abbiamo parlato insieme al direttore del reparto Pneumologia Università della Città della Salute e della Scienza di Torino, sede Molinette, il dottor Paolo Solidoro.

Dottore, il Covid suscita ancora preoccupazione?
Preoccuparsi probabilmente è eccesivo, ma sicuramente bisogna occuparsene. Diciamo che, in questi quattro anni, è cambiato il virus e siamo cambiati noi. Inizialmente avevamo a che fare con un virus che aveva un notevole tropismo per il polmone, causa di polmoniti e di mortalità importante. Ricordiamo che, solo nel primo anno di pandemia, abbiamo avuto 130mila morti in Italia e noi non avevamo alcun tipo di immunità. Ora lo stesso virus si è modificato e adesso presenta caratteristiche nuove, più vicine al classico Coronavirus, che ha sempre dato sintomi influenzali, dolori toracici, cefalea. Per quanto riguarda la possibilità di morire di polmonite guardiamo ai fragili, agli immunodepressi, peggio ancora se trapiantati o pazienti oncologici terminali. Quindi dobbiamo continuare a tenere alta la guardia anche se la situazione fortunatamente è meno preoccupante di tre anni fa.

La vaccinazione è ancora importante per proteggere i fragili?
Io la considero obbligatoria per i soggetti fragili e per gli operatori sanitari, in modo tale che non ci sia una distribuzione del virus da parte degli operatori sanitari. Per le altre persone non è mandatoria, ma dobbiamo iniziare a ragionare non più solo in senso individuale, ma in senso sociale. Se una persona altrimenti sana fa una vaccinazione per il Covid riduce la possibilità di circolazione del virus e protegge anche indirettamente i pazienti, per esempio, trapiantati di polmone. Bisogna difendere questi pazienti difendendo l’ambiente in cui si trovano.

Cresce la preoccupazione per il cosiddetto Long Covid. Lei che cosa ne pensa?
C’è accordo da parte della letteratura scientifica sulla definizione di che cosa sia il Long Covid, ma non c’è altrettanta unanimità sulle cause che lo generano. Si dice Long Covid l’insieme dei sintomi che si prolungano al di là del mese rispetto all’infezione del Sars-Cov 2. Bisognerebbe capire se si tratti di una situazione davvero clinica. Per fare questo è necessario tenere a mente che il virus ci vede benissimo e riesce ad andare a colpire gli organi o apparati che sono più deboli in ogni singolo paziente. Per questo motivo non è detto che la sintomatologia debba sempre manifestarsi in ambito respiratorio. Potrebbe essere anche di natura gastroenterica o riguardare altri apparati, che possono essere i responsabili della fatica cronica che accusano questi pazienti.

Esiste una componente psicologica?
Soprattutto durante la prima ondata della pandemia, parlo 2020-21, c’era una componente psicologica molto importante. Molti erano terrorizzati, chiusi in casa per il lockdown, con socialità ridottissima e questo ha portato sicuramente delle conseguenze. La verità è che l’infezione da Covid, come qualsiasi altra infezione, non è uguale nei tempi in tutti i pazienti. La tempistica di guarigione può avere tempi completamente diversi e indipendenti dal virus.

Difficile che si tratti di anni?
Di solito il Long Covid andava a esaurirsi entro l’anno. Ci si preoccupava di più se i sintomi perduravano oltre i sei mesi. In quel caso bisognava cercarne la causa in altri organi o apparati. Penso all’apparato endocrinologico per una componente di diabete post Covid ad esempio o anche l’apparato cardiologico.

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