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IL REPORTAGE
29 Luglio 2023 - 09:30
Molti sono minorenni e ci sono anche donne con bambini piccoli al seguito. Chi ha dovuto camminare mesi sfidando la polizia sulla rotta balcanica, e chi invece ha dovuto pagare gli scafisti per arrivare a Lampedusa rischiando il naufragio. Dal Maghreb all’Africa Subsahariana, passando per l’Iran, l’Afghanistan, la Siria e il Kurdistan. Sono tante le storie racchiuse all’interno del rifugio Fraternità Massi di Oulx che giovedì notte è stato invaso da circa 150 persone, più del doppio del numero che riesce a contenere. Tanto che si sono dovuti riaprire i container nel giardini per accogliere i migranti. «La situazione è drammatica, non abbiamo mai avuto così tante persone» spiega Don Luigi Chiampo, referente della Fondazione Talità che gestisce il centro.
Molti prendono il sole stesi sull’erba sulle coperte, qualcuno gioca a pallone, qualcun altro suona un bongo, le ragazze rincorrono i loro bambini che si sono portati dietro nel viaggio infernale. Nei loro occhi si legge un mix di emozioni contrastanti, speranza e inquietudine, tranquillità ma anche preoccupazione per l’ultimo passo che devono ancora affrontare.
Nonostante i pasti caldi e l’accoglienza ricevuta, non tutti i migranti sono in perfetta salute. C’è anche chi ha bisogno di cure, come Sahid arrivato dal Marocco seguendo la rotta balcanica: «In Bosnia per non farmi fermare dalla polizia mi sono arrampicato su un ponte e sono caduto di sotto rompendomi la schiena» spiega, mostrando il gesso attorno al torace, prima di coprirlo con la maglietta.
Anche Labdih ha fatto all’incirca lo stesso percorso in compagnia dei suoi due fratelli: «Siamo arrivati in Turchia in aereo e abbiamo camminato un mese nelle foreste dell’Est Europa, sfuggendo ai manganelli della polizia. Abbiamo attraversato la Bulgaria, la Sebria, la Slovenia e poi finalmente l’Italia, dormendo alla pioggia». Il motivo? «Noi siamo di etnia berbera e dove viviamo noi in Marocco subiamo il razzismo degli arabi, per questo siamo partiti e ora vorremmo restare qui».
In generale però l’Italia rappresenta un paese di passaggio e quasi tutti sognano di raggiungere la Francia. Molti indossano gli scarponcini e il pail sperando di attraversare le montagne a Claviere e raggiungere la Francia. “The game” lo chiamano. Il gioco. E vince chi, dopo l’estenuante viaggio, riesce a evitare il controllo della gendarmerie francese e ad attraversare i confini. «La scorsa notte ne hanno respinti una decina» spiegano le volontarie che hanno accolto e sfamato i migranti.
Alcuni sono subito ripartiti, altri attendono il loro turno. Come Bah, 22 anni, arrivata dalla Guinea: «Ho attraversato il deserto lasciando là mia sorella e i miei genitori che mi avevano combinato il matrimonio. Io voglio essere libera e sogno di arrivare in Francia, è il mio sogno fin da piccola» racconta mentre si rinfresca con un po’ d’acqua.
Ma c’è anche chi, dopo l’inferno che ha vissuto in queste settimane, ha cambiato idea: «Ci ho messo due mesi per arrivare qui, ho camminato per centinaia di chilometri lungo la costa e ho dovuto pagare 6mila euro per raggiungere Lampedusa sul gommone, è stato un viaggio estenuante e adesso vorrei soltanto poter tornare a casa mia in Tunisia» spiega Kalil, 23 anni.
Al piano terra della struttura molti scrivono delle lettere in arabo da inviare alle loro famiglie e disegnano le bandiere dei loro stati che hanno lasciato nella speranza di un futuro migliore. Alcuni iraniani, quasi tutti minorenni, si affacciano ai container e fumano qualche sigaretta in attesa di poter salire sul bus che li porti in un altrove che non conoscono. Qualcuno sogna anche la Germania o l’Inghilterra, come Muquim, 23enne afghano: «Voglio fare il meccanico a Londra» dice, senza dubbi.
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