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Il caso
13 Aprile 2025 - 13:00
Il gentlemen’s agreement è un accordo tra gentiluomini e non ha bisogno di essere formalizzato in un documento scritto. È semplice buon senso, correttezza e rispetto. Ad esempio se si celebra la Festa della Polizia e i giornalisti sono chiamati a partecipare per poi riferire, si violerebbe il patto se (dico per dire) il questore rilasciasse un’intervista il giorno precedente. Purtroppo è ciò che è accaduto ieri. Non che l’intervista di Paolo Sirna ad un giornale cittadino abbia aggiunto o tolto qualcosa alla festa in questione: dichiarazioni generiche il giorno precedente, idem durante la kermesse dove sono stati presentati dati dell’attività della polizia a Torino, ma senza alcun raffronto con l’anno o gli anni precedenti. E tra i numeri presenti in brochure mancava quello più importante e relativo al totale dei reati commessi. Nulla da dire neppure sulla manifestazione che si è celebrata alle Ogr in pompa magna, organizzata con grande cura e professionalità da parte delle donne e degli uomini della Polizia di Stato. Stride solo quell’intervista che potrebbe essere anche interpretata come una scelta di campo da parte del questore, irrispettosa degli altri organi di informazione, ma anche di chi si è prodigato per la buona riuscita dei festeggiamenti. Un errore.
Sirna è a Torino solo dallo scorso 2 ottobre e, verosimilmente, ancora non si è accorto che sotto la Mole non esiste un’unica voce, ma una pluralità di mezzi di informazione, tutti sempre attenti a riferire delle attività della polizia. Il questore è libero, ci mancherebbe, di rilasciare le interviste quando vuole e a chi vuole, ma quando si tratta di celebrare un evento, come la Festa della Polizia, l’atteggiamento dovrebbe essere ecumenico e non escludere nessuno. Bando alle ciance, Sirna non ha offeso nessuno, tanto meno il nostro giornale, più preoccupato di mettere in fila i numeri della brochure per comprenderne il significato e offrire ai lettori un quadro credibile di ciò che è accaduto in città nell’ultimo anno. Tutto ciò al di fuori di ogni giudizio sull’operato delle forze dell’ordine, la cui abnegazione non viene messa in discussione da nessuno, ma solo per renderci conto in quale città viviamo. Per capire se la criminalità organizzata ha rialzato la testa, per comprendere se i reati contro il patrimonio sono un’emergenza, se le violenze in famiglia si sono estese, se le truffe agli anziani continuano ad essere una piaga, se Internet, oltre ai mille e più servizi che offre, si sta trasformando in una “terra di nessuno” dove, anche lì, si commettono reati. L’elenco è lungo e dati precisi favorirebbero una presa di coscienza di qualcosa che i numeri che sono stati forniti non consentono. In realtà nel bilancio che offre la questura c’è un dato che, se confrontato con quello dello scorso anno (in redazione abbiamo un archivio di tutto rispetto) fa intravedere una crescita dei reati e della presenza della criminalità a Torino e provincia. È il numero delle chiamate al 112 che in un anno è cresciuto di quasi il 30%.
In realtà, se ci fossero altri numeri a disposizione, il dato potrebbe essere interpretato positivamente, perché potrebbe essere l’espressione di una fiducia maggiore dei cittadini nei confronti delle forze dell’ordine. Ma in assenza di altri riferimenti, le cose restano lì, sospese e difficili da interpretare. Oggi lacci e lacciuoli (alcuni sacrosanti) impediscono al cronista di fornire un’informazione completa: non si possono pubblicare stralci di ordinanze di custodia cautelare, non si possono scrivere i nomi di arrestati e vittime finché le sentenze non passano in giudicato (e nel frattempo possono trascorrere anche 10 anni), vietatissimo pubblicare fotografie di fatti di cronaca e di persone coinvolte in tali vicende, a meno che non siano generiche, inutile parlare con investigatori o magistrati, perché a loro la legge impone il silenzio. Così il giornalista diventa un mendicante della notizia e ai lettori l’informazione che arriva è sempre incompleta. Se poi, a tutto ciò, vengono a mancare anche i dati, allora i quotidiani diventano solo la vetrina di chi vuole farsi bello, ma per qualcosa che, forse, neppure esiste.
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