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Come una star

Gian Enzo Sperone: l’uomo senza qualità che ha conquistato il mondo dell’arte

Il collezionista torinese protagonista della mostra evento del Mart di Rovereto. Il 15 febbraio tornerà sotto la Mole ospite dell’Università: «Con le mie opere potrei fare un museo»

Non conta il tempo, ma solo lo spazio dove l’orizzonte ha la forma infinita di quel piacere che solo l’arte riesce a produrre. Tutto questo è il meraviglioso viaggio - 1.200 metri quadrati all’interno del Mart di Rovereto - fra 420 capolavori della collezione privata di Gian Enzo Sperone. Si intitola “L’uomo senza qualità. Gian Enzo Sperone collezionista”. Ma lui è di più. È uno di quei nomi di cui Torino non si dovrebbe mai dimenticare il suono poiché tra i più grandi collezionisti del mondo. Inauguratasi il 26 ottobre scorso la mostra si chiuderà il 3 marzo. Importante non farsi sfuggire l’occasione irripetibile di visitarla, lascerà a bocca aperta. Contano i pezzi e la genialità con la quale i curatori Denis Isaia e Tania Pistone, sotto la supervisione di Vittorio Sgarbi che ne ha ideato la genesi, hanno saputo allestire il prezioso materiale. Dipinti “minori”, Piccio, Anguissola, Bezzuoli, Benefial, Adler, Molteni, Mondino, Von Maron e Vouet, e incommensurabili, il Cristo alla colonna di Giovanni Martinelli, l’efebico Martire di Giovanni Colacicchi, il Davide incipriato di Giuseppe Angeli. Sculture, arte antica, moderna e contemporanea. Il tutto parte di un patrimonio immenso collezionato da Sperone, classe 1939, nel corso della sua esistenza, da quando, appena ventenne, figlio di operai di Carmagnola, ebbe il coraggio di seguire il proprio istinto spezzando il cordone ombelicale con un futuro già scritto e dedicarsi all’arte.

Sotto la Mole tornerà il 15 febbraio prossimo in occasione dell’incontro organizzato da Palazzo Nuovo (ore 15 Sala Seminari, II piano) dal titolo “L’inventore del futuro. Gian Enzo Sperone mercante e collezionista”, con Denis Isaia. Ma la sua presenza a Torino è immancabile anche durante Flashback, cosa che nel 2017 fece “innervosire” l’allora direttrice di Artissima Ilaria Bonacossa che in contemporanea al Lingotto gli dedicava un progetto («Il futuro non va nella direzione di Artissima», disse Sperone, «sta bene a Flashback con le sue opere desuete» rispose la Bonacossa).

«Aprii la prima galleria a Torino, era il 1964» ci racconta Sperone raggiunto nella sua nuova casa, una dimora del ‘500 nel cuore della Engadina, in Svizzera. «Ho lasciato New York da qualche tempo - dove ha sede una delle sue più importanti gallerie la Sperone Westwater in uno dei palazzi più lussuosi di Manhattan sulla West 13th Street alla Bowery nella Lower East Side -. Quella città non mi appartiene più».

Ci spieghi meglio.
«Oggi a New York c’è un gran caos artistico. È passato il messaggio che tutto ciò che si fa può essere arte. Andy Warhol diceva: "Ognuno può essere famoso per 15 minuti". Tutto ciò ha rovinato un mercato tra i più estesi ma anche tra i più brutali, se non fai successo alla prima o seconda mostra ti puoi arrendere. È come questi giovani che salgono sul palco del Festival di Sanremo e pensano di essere arrivati. Io non mi ci trovo più in quel mercato. Io trovo noiosa tutta questa gazzarra».

A Rovereto, invece, un regalo: la grande mostra voluta da Sgarbi.
«È stata una rivelazione anche per me che non vedevo quelle opere da quarant’anni. Denis Isaia e Tania Pistone hanno seguito molto bene le indicazioni di Sgarbi. È lui che mi ha scoperto come collezionista, è stato il mio deus ex machina. L’allestimento è perfetto, rispecchia la mia indole che non ha mai dato peso alle date ma alla scelta arbitraria del gusto».

E ha avuto successo: non è un “uomo senza qualità”.
«L’uomo senza qualità si rifà al libro di Musil, il più bel romanzo del Novecento a parer mio, ancor che incompiuto. Il titolo si riferisce alla voglia di dimostrare a tutti che un uomo normale può con la sola passione entrare nel mondo dell’arte».

Lei lo ha fatto: ci parli degli inizi.
«Sono nato a Torino, ho frequentato l’Università di Lettere Moderne, Umberto Eco allora faceva l’assistente, erano gli anni ’60. Mi aiutò a un esame su Joyce. La vera formazione la ebbi al Liceo Classico Baldessano di Carmagnola, lì hanno insegnato in passato Tino Campana, Cesare Pavese. I miei genitori erano operai senza mezzi, mi hanno finanziato fino alla maturità poi mio padre mi disse che dovevo mantenermi da solo».

Cosa accadde?
«Aprii la mia prima galleria, fu una vocazione. Non stiamo a discuterci tanto, è come parlare del sesso degli angeli. Ero predisposto. Andavo al Balon per cercare di beccare qualcosa a quattro soldi e ci sono anche riuscito. All’inizio era solo sul contemporaneo, poi arrivò il resto e le gallerie, Roma, Milano, New York».

Quante opere possiede?
«Tante, tantissime. Non dirò mai il numero».

Ha mai pensato di fare un museo?
«Se mi dessero i soldi farei un museo volentieri. La vedo dura in Italia. Anni fa volevo donare sessanta opere alla Reggia di Venaria ma l’operazione non riuscì per colpa dell’allora direttore Turetta, la cosa dispiacque molto a Chiamparino. Che gaffe per Torino… Se recuperassi soldi dall’America vendendo l’edificio di cui sono proprietario a metà potrei fare una Fondazione. Per adesso le opere della mostra torneranno nei loro magazzini, trenta rimarranno al Mart in comodato».

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