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Il VIDEO dell'operazione dei carabinieri
12 Maggio 2023 - 11:04
Il padre e due figli arrestati: da sinistra, Orlando Lafore’, Alessandro Massa e Bruno Massa
Il padre e i due figli partivano da Carmagnola con la loro Giulietta bianca per andare a lavorare come addetti dell’acquedotto. Peccato che il 59enne Orlando Lafore’ non lo fosse davvero, così come i figli Alessandro e Bruno Massa, 30 e 35 anni, (portano il cognome della madre): si spacciavano come tecnici e portavano oro e gioielli alle loro vittime, tutti anziani sparsi fra Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna. Hanno colpito 16 volte prima di essere rintracciati dai carabinieri del Nucleo investigativo di Asti, che ieri mattina si sono presentati al campo nomadi di Carmagnola, dove sono domiciliati tutti e tre. Lì hanno arrestato Bruno Massa mentre il padre e il fratello sono stati rintracciati a Torino, a casa di un conoscente.
Secondo l’accusa, padre e figli avevano messo su un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di furti e rapine in abitazione, in particolare ai danni di vittime deboli come le persone anziane. Si presentavano a casa loro come finti addetti degli acquedotti e, una volta entrati, riuscivano a prendere denaro e gioielli. Spesso risparmi e preziosi ricordi accumulati in una vita: fra i 16 colpi, commessi tutti fra settembre 2022 e gennaio 2023, ne risultano a Bruino, Orbassano, Rivalta, Grugliasco, Carmagnola. Poi ne risultano nell’Astigiano e nel Cuneese, oltre a quelli fra Cremona e Piacenza.
In alcuni casi i tre truffatori hanno anche usato lo spray urticante per tramortire le vittime. Poi scappavano a bordo di un’Alfa Romeo Giulietta di colore bianco, modificata per aumentarne le prestazioni e permettere loro di scappare rapidamente (che, di recente, avevano sostituito con una Ford Focus). E avevano anche un “kit” per modificare la targa tra un colpo e l’altro.
Gli "attrezzi del mestiere" dei tre finti tecnici: spray urticante, ricetrasmittenti, guanti cappellini e targhe modificate
Erano attrezzati di tutto punto ma non si sono accorti che i carabinieri li stavano pedinando e controllando con droni e auto senza contrassegni.
Gli investigatori hanno anche provato a intercettare i cellulari dei tre: «Ma loro lasciavano i telefonini al campo nomadi e comunicavano con le ricetrasmittenti» spiegano gli inquirenti durante la conferenza stampa con cui ieri hanno annunciato il risultato dell’indagine.
Ora l’inchiesta resta in piedi: la Procura ha autorizzato a pubblicare nomi e foto degli arrestati per spingere eventuali altre vittime a denunciare e a riconoscere i finti tecnici. L’obiettivo è verificare se abbiano colpito altre volte dopo i 16 accertati dai carabinieri.
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