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IL BORGHESE
18 Ottobre 2023 - 07:00
Il bob, simbolo degli sprechi di Torino 2006
Sul bob sono scivolate via le nostre speranze olimpiche (almeno per ora, perché se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla politica italiana è che ogni giorno è buono per cambiare idea su quanto deciso quello precedente). La decisione di non riesumare l’impianto di Cesana Pariol ha fatto felici i molti che temevano un nuovo spreco di soldi pubblici e, più in generale, le difficoltà dell’organizzazione di Milano Cortina 2026 fanno esultare coloro che alle Olimpiadi sono sempre stati contrari e che spesso portano Torino 2006 come esempio di «spreco» e «scandalo». Ma siamo davvero sicuri che a Torino le cose siano andate così? Le “nostre” Olimpiadi cominciano a essere vecchiotte, basti pensare che un’intera generazione è nata dopo quei giorni irripetibili e non ha idea di come fosse Torino prima che in città sfilassero i tedofori, quando ci si dibatteva tra l’agonia di mamma Fiat e un futuro da reinventare. Forse allora è il caso di provare a ricordare ciò che è stato fatto. Cosa è stato davvero uno spreco, e cosa no.
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Partiamo dalle note dolenti. Il bob, costato 110 milioni, è in effetti il simbolo più ingombrante di cosa non ha funzionato. In sua compagnia, altrettanto vistosi, ci sono i trampolini di Pragelato (35 milioni di euro). Entrambi utilizzati per pochi anni dopo i Giochi e poi abbandonati, con l’ulteriore aggravante di essere intervenuti pesantemente sull’ecosistema di due montagne. Alla vigilia del 2006, c’era ottimismo: «Diventeranno la base delle nazionali azzurre e le scuole in cui formare gli atleti del futuro, porteremo a provare gli sport invernali anche gli studenti». Peccato che nessuno, prima dei Giochi, avesse pensato di mettere nero su bianco l’impegno di realizzare questi progetti. E così, spenta la Fiamma, il Coni salutò e ringraziò tutti, guardandosi bene dallo spostare gli atleti in Piemonte. Altro impianto scomparso è quello del Freestyle di Sauze d’Oulx (9 milioni di euro) ma in questo caso la storia fu diversa: era stato progettato per essere smantellato subito e gli impianti di innevamento e risalita “riciclati” sulle montagne olimpiche. A Torino, il simbolo di cosa - almeno in parte - non ha funzionato non può che essere il Moi: 140 milioni di euro per realizzare le palazzine e restaurare le arcate storiche. Un coloratissimo villaggio olimpico poi riutilizzato solo in parte, con alcune delle palazzine occupate per anni dai clandestini e solo ora in fase di definitivo recupero. E le arcate? Ancora abbandonate.
Torino 2006 però non è stato solo spreco. E forse stupirà i fautori del no a a tutto, ma in realtà gli esempi di cosa ha funzionato sono numerosi. Forse più di quelli negativi. Questa volta partiamo dalla città: per restaurare il Palavela semidiroccato furono spesi 55 milioni e ancora oggi è un vero gioiello, utilizzato per pattinare, per spettacoli e concerti e non solo. Il PalaIsozaki, costato 87 milioni, dal 2006 in nome dei soldi ha cambiato nome per diventare lo sponsorizzato Palalpitour ma rimane il fiore all’occhiello della città per attirare le star della musica e realizzare i grandi eventi, non ultime le Atp Finals. E, anche se non fu realizzata con fondi olimpici, non dimentichiamoci la metropolitana: il primo a provare a realizzarla fu Mussolini ma, guarda caso, il taglio del nastro avvenne il 4 febbraio 2006, sei giorni prima della cerimonia d’inaugurazione delle Olimpiadi senza le quali, c’è da scommettere, staremmo ancora cercando i soldi per cominciare a scavare. Fuori Torino, oltre ovviamente ai vari impianti di innevamento e risalita, spiccano soprattutto le strade: in pochi forse ricordano che la Torino-Pinerolo era l’altra eterna incompiuta piemontese insieme all’Asti-Cuneo. La prima fu finita per il 2006, la seconda - senza un’Olimpiade di mezzo - termina ancora oggi in mezzo a un prato. E poi le varianti di Avigliana e Porte, altre gallerie e strade. E sotto l’asfalto, c’è la fibra ottica: anche se oggi sui monti si naviga con l’Internet veloce, il merito è delle Olimpiadi. Sicuri che rinunciare ai cinque cerchi sia davvero un affare?
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