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Il giallo
06 Gennaio 2024 - 20:35
Lui nega e ha già querelato. E anche la Procura di Roma ha già chiesto l’archiviazione. Ma i carabinieri sono convinti: è stato il torinese Mario Vanacore, il 7 agosto 1990, a uccidere Simonetta Cesaroni con 29 coltellate in via Poma a Roma.
E’ l’ultimo capitolo di un giallo che continua da 34 anni, fra indagini e processi che si smentiscono l’un l’altro.
Ora i carabinieri, in una corposa informativa consegnata ai magistrati della Procura di Roma, tornano ad accusare Vanacore, che oggi ha 64 anni ed è titolare di una ditta che vende attrezzature mediche a Torino. All’epoca era “solo” il figlio di Pietrino, il portiere dello stabile accusato dell’omicidio. E che, nel 2010, si lasciò affogare in un corso d'acqua: «Vent’anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio» aveva scritto in un cartello trovato accanto al cadavere.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, il pomeriggio del 7 agosto del 1990, Mario Vanacore entrò negli uffici di via Poma, dove Cesaroni lavorava da circa due mesi come segretaria. Trovatosi davanti alla ragazza, l’avrebbe trascinata «nella stanza del direttore - dove poi venne trovata cadavere - per poi tentare di violentarla, ma la giovane riuscì a colpirlo ferendolo. A quel punto - scrivono i carabinieri - l’uomo reagisce, sferrandole un violento colpo al viso che la stordisce e la fa cadere a terra». Così si sarebbe arrivati al momento dell’omicidio con «l’uomo che si impossessa dell’arma del delitto e a cavalcioni della ragazza, supina a terra, la colpisce per ventinove volte». A coprire le responsabilità di Mario sarebbero stati gli stessi genitori, Pietrino e Giuseppa De Luca, che avrebbero mentito agli investigatori e depistato le indagini.
Per il delitto è stato poi processato il fidanzato della vittima, Raniero Brusco, condannato in primo grado e poi assolto in appello e in Cassazione. A marzo 2022 la Procura di Roma ha riaperto le indagini in seguito ad un esposto della famiglia della ragazza uccisa quasi 43 anni fa, con i militari che hanno puntato il dito contro Mario Vanacore. «Ipotesi e suggestioni - replicano i pubblici ministeri - che non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato».
Per questo lo scorso 13 dicembre hanno chiesto l’archiviazione del fascicolo: «Io ho visto Simonetta Cesaroni una sola volta, quando era già morta» replica oggi il 64enne torinese, che si scaglia contro gli investigatori. «Mi spiace per i parenti della ragazza perché non hanno ancora avuto giustizia dopo tanti anni ma la mia famiglia non può essere ancora una volta il bersaglio di questa inchiesta». Vanacore ha già presentato una querela per diffamazione e calunnia: «Ci sono stati libri, dichiarazioni e blog che tracciavano il mio assistito come possibile colpevole - interviene l’avvocato Claudio Strata, che assiste il torinese - L’ultimo caso è una rappresentazione teatrale andata in scena a Milano».
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