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L'ALLARME

Ecco perché la crisi di Suez fa tremare l'economia torinese

Costi folli per agricoltori, imprenditori e fornitori di Stellantis: «Così rischiamo lo stop della produzione»

La crisi di Suez fa tremare l'economia torinese. Ecco perché

Gli attacchi Houthi alle navi in transito nello stretto di Suez stanno colpendo forte anche l’economia piemontese. Dalla componentistica dell’automotive alla frutta e il caffè. Solo per citare le nostre rotte commerciali più importanti con l’Oriente che ora però costano una fortuna. Le navi infatti, per evitare gli attacchi, sono costrette a passare dal Capo di Buona Speranza in Africa allungano il tragitto di 20 giorni, andata e ritorno, con una conseguente impennata dei prezzi dei noli marittimi dall’Asia verso l’Europa e il Mediterraneo che sono addirittura triplicati (da 1.373 a 5.213 dollari) da Shanghai a Genova.

L’export delle mele in calo negli Emirati Arabi
«Esportiamo circa il 35% della frutta piemontese, soprattutto mele rosse e kiwi, verso gli Emirati Arabi, ma a seguito degli attacchi circa il 50% ora passa dall’Africa: una scelta che prevede un aumento dei tempi con il rischio che le mele vadano a male» spiega il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici, preoccupato per i costi folli dei trasporti: «Sono diventati insostenibili e per questo motivo il nostro export verso gli Emirati Arabi è già calato del 15%».

A temere le tensioni internazionali è anche il Centro Agroalimentare di Torino. «Il blocco del canale di Suez rischia di creare un eccesso di produzione di mele che non troverebbe acquirenti» spiega il direttore del Caat, Gianluca Cornelio Meglio. A questa dinamica si aggiunge «il rischio di un aumento dei prezzi a seguito delle proteste degli agricoltori in Francia e Germania» spiega Meglio.

Un altro settore in difficoltà è quello del caffè. Come ha raccontato l’ad di Lavazza, Antonio Baravalle: «Un container dal Vietnam, principale produttore di caffè insieme al Brasile, ora impiega fino a 20 giorni in più e il costo è schizzato da 1.300 a 4mila dollari. L’inflazione - aggiunge - non aveva ancora frenato il nostro settore ma ora rischiamo la recessione».

I timori dei fornitori di Stellantis
A tremare, fra i tanti, è anche il settore dell’automotive, in particolare i fornitori di Stellantis, già ampiamente in difficoltà, che ora rischiano di fermare la produzione. «Importiamo plastica e acciaio dalla Cina per realizzare la componentistica ma i tempi si sono allungati di 15 giorni e gli aumenti del costo del trasporto via mare è dell’80%. Se continua così si rischia lo stop produttivo» spiega Edoardo Pavesio, presidente di Sila Group di Orbassano, società che ha sedi anche in Polonia e Asia. «Il colpo finale lo hanno dato le compagnie assicurative che non coprono più i danni alle navi che transitano dal Suez. Così passano tutte dall’Africa tagliando fuori i porti italiani per attraccare a Rotterdam». Che fare dunque? «Puntiamo sul trasporto via treno, che costa il 50% in meno, ma il costi stanno salendo per l’aumento della domanda».

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