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LA STRAGE SILENZIOSA
26 Febbraio 2024 - 06:30
In Piemonte sei morti sul lavoro ogni mese
Sei morti ogni mese, più di uno alla settimana. È quello che succede lavorando in Piemonte: sei uomini e donne che al mattino escono di casa per andare a guadagnarsi uno stipendio e che alla sera non tornano più dalle loro famiglie. Mariti, mogli, genitori e figli cui non resta altro che da chiedersi perché in Piemonte ancora si possa morire lavorando.
Solo ieri l'ultimo morto sul lavoro in Piemonte:
Il bilancio, diffuso dall’ufficio studi Cgia sulla base dei dati Inail, è relativo al 2023 e per fortuna segna un miglioramento rispetto agli anni precedenti, nonostante in un solo episodio, a Brandizzo lo scorso agosto, si sia verificata una vera e propria strage, con i 5 operai travolti da un treno mentre lavoravano sui binari della stazione cittadina. Resta però un dato drammatico, ancora troppo alto: 75 persone, nell’arco dei 12 mesi, hanno perso la vita lavorando. Nel 2022 erano state 97 e, nei tre anni precedenti, rispettivamente 119, 145 e 105.
Il dato dello scorso anno ci piazza al settimo posto di una poco invidiabile classifica che vede primeggiare la Lombardia, con 172 morti, seguita da Veneto (101) e Campania (95). A chiudere, la piccola Valle d’Aosta con una sola vittima nel corso dell’anno passato.
Scendendo più nel dettaglio, 34 dei 75 morti del 2023 sono stati registrati in provincia di Torino. In Piemonte, in totale, si sono contati 42.826 infortuni sul lavoro (di cui 22.191 a Torino e provincia) e 1.528 malattie professionali (539 a Torino e provincia).
La Cgia, nella sua analisi, prende in esame un settore particolare che proprio in Piemonte ci riguarda da vicino: quello di chi lavora nei cantieri edili (dove, in Italia, si registra un morto ogni due giorni) ma con contratto da metalmeccanico perché impegnato nel settore dell’installazione degli impianti. Un caso su tre degli infortuni mortali nei cantieri, riguarda proprio lavoratori di questo tipo. Proprio in Piemonte però questo dato si impenna arrivando fino al doppio: il 65%. Ampiamente il peggiore d’Italia: al secondo posto ci sono Liguria e Umbria con il 50%. Una spiegazione, secondo la Cgia, ci potrebbe essere: «Non è da escludere che in misura sempre più crescente questi lavoratori si trovino all’interno di un cantiere non per realizzare degli impianti ma per eseguire delle mansioni di natura strettamente edile». Questo ha una doppia conseguenza. La prima è quella di non disporre di un corretto inquadramento contrattuale, ovvero quello dell’edilizia. La seconda è che «le maestranze che esercitano l’attività edile, ma non dispongono del contratto corrispondente, non sono tenute a frequentare i corsi di formazione obbligatori previsti per gli edili, rendendo questi lavoratori meno consapevoli e meno preparati ad affrontare i rischi e i pericoli che possono incorrere durante la giornata lavorativa». Non a caso, siamo davanti a un fenomeno in controtendenza: mentre i morti sul lavoro in generale diminuiscono, i numeri di vittime di questo particolare settore sono in aumento anche perché si tratta di «lavoratori, ovviamente, che a differenza dei colleghi con il Ccnl dell’edilizia - sottolinea la Cgia - non dispongono di un’adeguata formazione e conoscenza delle misure di prevenzione connesse ai rischi e ai pericoli presenti nei cantieri. Soprattutto in quelli dove c’è la compresenza di più imprese».
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