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Le rivelazioni del Wall Street Journal
18 Marzo 2024 - 10:20
Qualche settimana fa, il Wall Street Journal pubblicava una notizia clamorosa: ossia che ricercatori cinesi isolarono e mapparono il Covid-19 alla fine di dicembre 2019, almeno due settimane prima che Pechino rivelasse al mondo i dettagli del virus mortale. E ora un nuovo articolo, passato però molto più in sordina rispetto ai precedenti, ripropone particolari che favoriscono la tesi di chi ritiene che il virus responsabile della pandemia sia stato creato in laboratorio. Ma con quali fondi? E a quale scopo? Quali cose ancora non sappiamo a quattro anni dall'inizio di quell'incubo, da quella famosa e terribile foto dei camion militari, carichi di bare, per le nostre strade? Analizziamo il tutto nel dettaglio.
Partiamo dal dato riferito da Maria Van Kerkhove, direttrice della Preparazione e la prevenzione delle epidemie e le pandemie all'Oms, che su X - il social precedentemente noto come Twitter - ha scritto così: "Alla fine del 2023, abbiamo superato la soglia dei 7 milioni di morti da Covid19 segnalati all'Oms". Per la precisione 7.010.586. "Il vero bilancio delle vittime è più alto, con stime fino a 3 volte di più a livello globale".
In questo scenario, dove ancora si dibatte se all'origine di tutto ci sia stata una "fuga" da un laboratorio cinese oppure uno Spillover, ossia il salto di specie che ha portato il virus ad aggredire gli esseri umani, si inseriscono le rivelazioni del Wall Street Journal basate sui documenti che il Dipartimento della Sanità americano ha ottenuto da una commissione della Camera.
In pratica il ricercatore Lili Ren dell'Institute of Pathogen Biology di Pechino caricò una sequenza quasi completa della struttura del Covid in un database gestito dal governo americano il 28 dicembre 2019, mentre la Cina condivise la sequenza del virus con l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) solo l'11 gennaio 2020. E in quel periodo, riferisce l'agenzia di stampa Ansa, "i funzionari cinesi descrivevano ancora pubblicamente l'epidemia a Wuhan come una polmonite virale di causa sconosciuta e dovevano ancora chiudere il mercato all'ingrosso locale di animali vivi, luogo di uno dei primi focolai di Covid-19". Due settimane in più avrebbero comunque potuto rivelarsi cruciali per aiutare la comunità medica internazionale a individuare come si diffonde il Covid-19, a sviluppare le difese mediche e ad avviare un eventuale vaccino, secondo gli specialisti.
Wade parte dal Progetto Defuse, idea di un team di virologi americani e cinesi, guidato da Peter Daszak dell’EcoHealth Alliance di New York, Shi Zhengli dell’Istituto di Virologia di Wuhan e Ralph Baric dell’Università della Carolina del Nord. Il team, secondo Wade, nel nmarzo del 2018 avanzò una richiesta di finanziamento di 14 milioni di dollari presso la Defense Advanced Research Projects Agency (Darpa), una agenzia del Pentagono.
Lo scopo del progetto era partire dal virus Sars-COV-1, trasmesso dai pipistrelli, che nel 2002 aveva dato origine a una piccola epidemia. Lo scopo era "manipolare i virus correlati al Sars-CoV-1" per poter "individuare quelli con il maggior potenziale di trasmissione all’uomo e immunizzare i pipistrelli per prevenire la trasmissione dei virus ai soldati in Asia".
Ma in che modo si sarebbe potuto fare tutto questo? Lo strumento sarebbe stato il "clivaggio della furina", ossia il meccanismo per cui un virus riesce a penetrare in un organismo tagliando i suoi "collegamenti" tra le varie proteine, scindendole e moltiplicandosi.
Dopo di che, secondo l'ipotesi di altri tre biologi che all'epoca fu bocciata dai virologi, il nuovo virus - se mai fosse stato prodotto in laboratorio - sarebbe stato sintetizzato mediante l'assemblaggio di diverse sezioni di Dna. Dice ancor Wade: "I nuovi documenti, che includono bozze e piani per la proposta Defuse, forniscono chiare indicazioni sull’assemblaggio di virus simili al Sars da sei sezioni di DNA, e dettagli precisi sui costi per l’acquisto dell’enzima di restrizione BsmBI. Il biologo molecolare Richard H. Ebright, della Rutgers University, sottolinea che ciò costituisce «una prova schiacciante» della sua produzione in laboratorio".
Viene poi sottolineato come "la maggior parte dei virus richiede tentativi ripetuti per passare dall’ospite animale all’uomo, il Sars-CoV-2 ha infettato gli esseri umani al primo colpo, indicando così un suo possibile adattamento durante la coltivazione nei topi umanizzati richiesti nel protocollo Defuse".
Il lavoro avrebbe dovuto essere condotto nel laboratorio di Shi Zhengli. Daszak, nei documenti consultati dal WSJ, scrive: «Voglio porre enfasi sul lato statunitense di questa proposta in modo che la Darpa si senta a suo agio con il nostro team. Una volta ottenuti i fondi, potremo assegnare i compiti specifici, e credo che molte di queste analisi possano essere condotte a Wuhan».
Il problema è che il laboratorio in questione, come già detto in passato, aveva un livello di "contenimento minimo noto come BSL2", un livello considerato insufficiente di norma per gli standard americani, ma di sicuro in grado di garantire risparmi effettivi. La nota di Daszak: «La natura del lavoro su Sarsr-CoVs a BSL-2 rende il nostro sistema altamente conveniente rispetto ad altri sistemi per lo studio di virus trasmessi dai pipistrelli».
Ma cosa ne è stato di questo progetto? Già mei mesi scorsi l’EcoHealth Alliance di Daszak ha dichiarato che il progetto Defuse non è mai stato realizzato, sottolineando: "La proposta non ha ottenuto finanziamenti e il lavoro non è stato effettuato, quindi non può aver avuto un ruolo nell’origine del Covid-19". Tuttavia, Wade annota che "dopo il rifiuto della proposta Defuse da parte della Darpa nel febbraio 2019, i ricercatori a Wuhan potrebbero aver ottenuto finanziamenti dal governo cinese e aver proceduto autonomamente".
Errore umano, dunque? Bassi livelli di sicurezza? Oppure, come argomenta uno studio di Nature Communications, già diffuso nei mesi scorsi, davvero si tratta dello spillover, ossia il salto di specie dai pipistrelli all'essere umano?
Per l'Oms l'origine in laboratorio è "estremamente improbabile", anche se negli ultimi due anni ha affidato il prosieguo delle ricerche a un proprio comitato. La cosiddetta "lab leak" rimane comunque una teoria - etichettata come "complottista" - che riemerge periodicamente, in uno scenario in cui non aiutano le tensioni fra Stati Uniti e Cina e neppure la segretezza, ancora mantenuta, del governo di Pechino.
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