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Ecco la vera eredità del Covid: truffe milionarie per tute e mascherine mai consegnate

Quattro anni dopo, c’è ancora una lunga lista di processi aperti. E fra gli imputati spunta uno stupratore

Ecco la vera eredità del Covid: truffe milionarie per tute e mascherine mai consegnate

Foto di repertorio

Avrebbero dovuto fornire mascherine, tute, visiere a ospedali e case di cura: era la primavera del 2020, quando il Covid aveva chiuso tutti in casa e i dispositivi di protezione erano il bene più prezioso per medici e infermieri. Le aziende fornitrici hanno incassato centinaia di migliaia di euro per garantire la sicurezza dei sanitari ma molte di loro non hanno mai consegnato nulla, sfruttando il momento di emergenza e creando un sistema di “scatole cinesi” che ha reso quasi impossibile risalire ai responsabili delle mancate forniture: per questo sono ancora in corso, a distanza di 4 anni, processi per truffe milionarie ai danni delle Asl. Sono coinvolti aziende e ospedali dal Piemonte alla Sicilia, con oltre 3 milioni spariti nel nulla solo contando il Torinese.

Maxi processi da Torino a Bologna

Il processo più vicino alla sentenza, prevista fra dieci giorni, è quella a carico di amministratore e dirigenti della Unmanned Procurement Ltd (società di diritto inglese): il pubblico ministero Giovanni Caspani li accusa di frode in pubbliche forniture e frode in commercio per aver consegnato all’Asl To3 solo una parte delle mascherine ordinate. Non solo: erano di tipo diverso, sono rimaste per settimane nei magazzini di Pechino e sono arrivate a Torino solo tre mesi dopo, a giugno 2020. Per questo processo l’Asl To3, assistita dall’avvocato Andrea Castelnuovo, si è costituita parte civile: la speranza è farsi risarcire almeno una parte del danno da 803 mila euro. Anche perché è solo una delle presunte truffe subite dall’azienda sanitaria con sedi a Collegno, Venaria, Orbassano, Avigliana e Pinerolo.

All’elenco delle inchieste, infatti, se ne aggiunge anche una al tribunale di Bologna, coordinata dalla sede emiliana della Procura europea. Ma il processo è ancora in udienza preliminare dopo quattro anni. Tanto che una parte dei reati contestati alla Comitek Hospital Products srl rischia di andare in prescrizione: anche in questo caso si parla di truffa aggravata perché i prodotti erano accompagnati da certificazione di sicurezza falsificate o rilasciate da enti non abilitati. Oltre ad aziende e ospedali di mezza Italia, è coinvolta ancora l’Asl To3 per 40mila tute protettive. Ma ci sono anche l’Asl Valle d’Aosta e il Mauriziano, difese da Castelnuovo come la To3. Poi Villa Iris a Pianezza e Villa Adriana ad Arignano, tutte truffate nel bel mezzo della pandemia.

Il manager che addormentava le donne

Attirava le donne in trappola, promettendo loro uno stage nella sua azienda, la Global Farma. Poi le addormentava con la benzodiazepina e, quando erano narcotizzate, le fotografava e le stuprava: è Antonio Di Fazio, manager milanese di 53 anni, condannato in primo grado a 15 anni e mezzo di carcere. In appello la pena è stata ridotta a 9 anni ma, in attesa che si esprima anche la Corte di Cassazione, Di Fazio rischia una nuova condanna per bancarotta fraudolenta, omessa dichiarazione dei redditi, truffa aggravata e frode in pubbliche forniture.

Il processo al tribunale di Milano è alle battute finali e nei prossimi giorni ci sarà il dibattimento: fra le vittime, oltre ad aziende sanitarie di Abruzzo ed Emilia-Romagna, c’è anche l’Asl To3.
Di Fazio, in quanto amministratore della Ifai srl, è accusato di non aver fornito 182mila euro di tute protettive e 325mila euro di mascherine FFP3 provenienti da fornitori cinesi (in concorso con Francesco Sarri ed Enrico Asiaghi): prima aveva promesso di consegnare le mascherine «nel giro di 8 giorni lavorativi con pagamento alla conferma dell’ordine», come si legge negli atti.
Era il 2 aprile 2020 ma le scatole di FFP3 non sono mai arrivate. Dopo una lunga serie di solleciti, un mese e mezzo dopo, la Ifai ha chiesto di cambiare l’ordine e fornire 34mila tute protettive. Ma 21mila non sono mai arrivate, provocando un danno di 269mila euro all’Asl torinese (costituita parte civile e insinuata nel fallimento dell’azienda di Di Fazio).

I manager farmaceutici, secondo l’accusa, hanno lucrato sulla disperazione degli ospedali che cercavano in tutti i modi di proteggere i loro medici. Un po’ come ha approfittato delle donne che speravano di lavorare per Di Fazio, che lui teneva in pugno con i narcotici e le minacce di morte.

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