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La testimonianza
28 Marzo 2024 - 08:59
A sinistra, dall'alto, Rocco e Pietro Costanzia di Costigliole. A destra, il marciapiede di via Panizza dopo l'agguato a Mirafiori
A febbraio Pietro e Rocco Costanzia di Costigliole si erano presentati sotto casa di Oreste per minacciarlo. Poi, il 18 marzo, giorno dell’agguato col machete, hanno incontrato un amico: «Pietro mi ha detto che aveva scoperto dov’era Oreste e che lo voleva “spaccare”» ha raccontato il ragazzo agli investigatori della Squadra mobile, coordinati dai pm Davide Pretti e Mario Bendoni. Che ora hanno la conferma di come si sia trattato di una spedizione punitiva.
Sono questi dettagli a inguaiare ancora di più il Conte e il fratello minore, 23 e 22 anni. Infatti il giudice ha convalidato il fermo e imposto il carcere per i due giovani di origini nobile: sono accusati del tentato omicidio di un altro ragazzo di 23 anni. Aggredito in via Panizza con un machete, arrivato così in profondità da costringere i medici del Cto ad amputare la gamba sinistra del giovane sotto il ginocchio.
Ora Oreste si è svegliato dal coma ed è fuori pericolo mentre gli investigatori stanno ancora cercando l’arma con cui è stato colpito. Ma non hanno più dubbi sugli autori della «rappresaglia» contro di lui, per citare i termini usati dai giudici che hanno analizzato la vicenda. Per Squadra mobile e procura basta mettere insieme testimonianze e massaggi contenuti nei cellulari sequestrati. Compresi quelli tra le fidanzate di Pietro e Oreste, amiche fra di loro. E’ da lì che emerge come il Conte ce l’avesse con il coetaneo per due motivi: da un lato, un debito di droga; dall’altro, gli approcci spinti con la sua fidanzata Claudia Palin (poi trovata insieme al Conte all’hotel Royal di corso Regina Margherita, in una stanza piena di sostanze stupefacenti).
«Ieri a mezzanotte sto rincoglionito e il fratello stavano sfondando il portone sotto casa - ha scritto la ragazza della vittima a Claudia l’8 febbraio - Sono stati un sacco sotto, andavano via e tornavano. Avevo paura che salissero e bruciassero la casa. Non è normale voler ammazzare una persona così». Poi, il giorno dell’agguato, Pietro ha parlato con un amico: «Mi ha chiamato intorno alle 16 e mi ha detto: “Ho scoperto dov’è Oreste, vado e lo spacco” - ha raccontato il ragazzo in questura -. Io sono salito in auto per fare da paciere fra loro due e Rocco, che era con loro» Anche lui temeva il peggio: «Sapevo che Pietro aveva una mazza e un attrezzo con una lama. Ma poi mi ha mandato un vocale dicendo “Ho fatto, vai a casa”».
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