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La sentenza

Spaccio, omertà e violenza: mafiosi nigeriani condannati a 70 anni di carcere

Hanno soprannomi fantasiosi ma sono capaci di «irruzioni squadriste»: ecco cos'hanno fatto

Spaccio, omertà e punizioni corporali: mafiosi nigeriani condannati a 70 anni di carcere

Hanno soprannomi fantasiosi, quasi simpatici: Biggy, TBoy, Romeo, Armani. Ma sono mafiosi, capaci di trascinare un loro nemico in giardino, farlo inginocchiare e prenderlo a calci e pugni per farsi consegnare 500 euro e convincerlo a far parte del clan. Con il capo che, al telefono, ordinava di continuare a picchiare: «Un’irruzione squadrista con metodi mafiosi» la descrivono gli inquirenti mentre ripercorrono quanto successo il 6 marzo 2020 in un palazzo di via Cigna. Un solo episodio che basta a spiegare come funziona la “Eyie Supreme Confraternity”, uno dei più pericolosi clan della mafia nigeriana, che da anni ha messo le mani su Torino. E che oggi pomeriggio ha portato alla condanna di nove componenti, condannati per un totale di 69 anni e 4 mesi di carcere.

In 45 a processo

A ricostruire i metodi e i ruoli dei clan sono stati i pubblici ministeri Enrico Arnaldi Di Balme e Marco Sanini, che un anno fa ha chiuso le indagini sul clan e ne ha arrestato 11 membri. In questi giorni sono finiti a processo in 22, assistiti fra gli altri dagli avvocati Alberto Bosio, Manuel Perga, Benedetta Perego e Ylenia Albanese (ma in tutto sono 45 quelli sotto accusa in questo momento). Nove di loro hanno scelto il rito abbreviato e ora sono stati condannati a pene fra 7 e 11 anni, con l'eccezione di un imputato che se l'è cavata con 8 mesi.

Gli atti del processo ricostruiscono come funzionava l’associazione di stampo mafioso degli Eyie, descritta come «il più ampio sodalizio criminale radicato in Nigeria e diffuso in diversi stati europei ed extraeuropei». Come i clan “nostrani”, ha ruoli ben precisi per comandare le aree di competenza sul territorio italiano: i capi sono i “World Ebaka”, per esempio. A scendere ci sono gli “Engine”, cui spetta l’incarico di coordinatore del Piemonte, i capi delle singole zone, gli assistenti e i tesorieri. Sono armati di coltelli e asce, seguono regole ferree e versano parte dei guadagni all’associazione: «Devono rispetto e obbedienza ai vertici, che possono imporre sanzioni corporali in caso di violazioni».


Secondo quanto ricostruito dalla procura, a Torino gli Eyie hanno il loro quartier generale nel famigerato palazzo di corso Vigevano 41, da anni al centro di inchieste e perquisizioni. Da lì governano lo spaccio nell’area di piazza Baldissera e corso Vigevano, che difendono dai clan rivali dei Maphite e e dei Viking. Come? «Con estorsioni e rapine dirette ad affermare la loro forza sui gruppi rivali» sostengono gli inquirenti.

Droga, botte e rapine

La «azione squadrista» del 6 marzo del 2020 è solo uno degli esempi dei metodi del clan mafioso, che usava violenza e omertà per commettere rapine e riscuotere i crediti frutto dello spaccio di hashish e marijuana.
Gli investigatori della Squadra mobile della Questura hanno ricostruito una serie di altri episodi, con membri di gang rivali trascinati negli androni e pestati a sangue: in una delle ultime aggressioni contestate, avvenuta il 27 gennaio 2023, hanno spaccato il naso a un uomo a colpi di bottiglie rotte, sassi e un martello da muratore.

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