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Il processo

Botte, rapine e punizioni corporali: così la mafia nigeriana controlla il suo impero di Torino

«Azioni da squadristi» per chi non rispetta le regole. La base del clan Eyie è in corso Vigevano 41

«Azioni da squadristi»: così la mafia nigeriana controlla il suo impero di Torino

Mentre il Covid cominciava a fare capolino nelle nostre vite, sei uomini nigeriani facevano irruzione in un appartamento: «Siamo degli Eyie». Hanno trascinato la loro vittima in giardino, l’hanno fatta inginocchiare e l’hanno presa a calci e pugni per farsi consegnare 500 euro e convincerla a far parte del clan. Con il boss che, al telefono, ordinava di continuare a picchiare: «Un’irruzione squadrista con metodi mafiosi» la descrivono gli inquirenti mentre ripercorrono quanto successo il 6 marzo 2020 in un palazzo di via Cigna. Un solo episodio che basta a spiegare come funziona la “Eyie Supreme Confraternity”, uno dei più pericolosi clan della mafia nigeriana. Che da anni ha messo le mani su Torino.

In 45 a processo

A ricostruire i metodi e i ruoli dei clan è la Procura di Torino, che un anno fa ha chiuso le indagini sul clan e ne ha arrestato 11 membri. In questi giorni sono finiti a processo in 22, assistiti fra gli altri dagli avvocati Manuel Perga, Alberto Bosio, Benedetta Perego e Ylenia Albanese (ma in tutto sono 45 quelli sotto accusa in questo momento). Alcuni di loro hanno scelto il rito abbreviato e, fra un paio di settimane, potrebbero essere già condannati complessivamente a decine di anni di carcere: i pubblici ministeri Marco Sanini ed Enrico Arnaldi Di Balme, che rappresentano l’accusa, hanno chiesto pene fra i 5 e i 12 anni.


Gli atti del processo ricostruiscono come funzionava l’associazione di stampo mafioso degli Eyie, descritta come «il più ampio sodalizio criminale radicato in Nigeria e diffuso in diversi stati europei ed extraeuropei». Come i clan “nostrani”, ha ruoli ben precisi per comandare le aree di competenza sul territorio italiano: i capi sono i “World Ebaka”, per esempio. A scendere ci sono gli “Engine”, cui spetta l’incarico di coordinatore del Piemonte, i capi delle singole zone, gli assistenti e i tesorieri. Sono armati di coltelli e asce, seguono regole ferree e versano parte dei guadagni all’associazione: «Devono rispetto e obbedienza ai vertici, che possono imporre sanzioni corporali in caso di violazioni».
Secondo quanto ricostruito dalla procura, a Torino gli Eyie hanno il loro quartier generale nel famigerato palazzo di corso Vigevano 41, da anni al centro di inchieste e perquisizioni. Da lì governano lo spaccio nell’area di piazza Baldissera e corso Vigevano, che difendono dai clan rivali dei Maphite e e dei Viking. Come? «Con estorsioni e rapine dirette ad affermare la loro forza sui gruppi rivali» sostengono gli inquirenti.

Droga, botte e rapine

La «azione squadrista» del 6 marzo del 2020 è solo uno degli esempi dei metodi del clan mafioso, che usava violenza e omertà per commettere rapine e riscuotere i crediti frutto dello spaccio di hashish e marijuana.
Gli investigatori della Squadra mobile della Questura hanno ricostruito una serie di altri episodi, con membri di gang rivali trascinati negli androni e pestati a sangue: in una delle ultime aggressioni contestate, avvenuta il 27 gennaio 2023, hanno spaccato il naso a un uomo a colpi di bottiglie rotte, sassi e un martello da muratore.

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