Cerca

La testimonianza

Il pentito parla al processo: «Vi spiego come la mafia nigeriana controlla Torino»

Saluti in codice e metodi “rivelati” in tribunale. Sotto accusa c'è il clan degli Eyie

Il pentito parla al processo: «Vi spiego come la mafia nigeriana controlla Torino»

«I mafiosi nigeriani hanno un saluto da lontano, con le dite aperte, e un altro da vicino, con la stretta di mano e i pollici che si toccano».
Così un esponente degli Eyie, dopo essersi dissociato e aver pagato i suoi debiti con la giustizia, racconta in tribunale come funziona il clan. E spiega anche che fine fanno i proventi delle attività criminali portate avanti a Torino: «Servono ad aiutare i fratelli in Nigeria e a finanziare la guerra» spiega il super testimone durante l’udienza di ieri mattina in tribunale.

Era in corso il processo ordinario che, in abbreviato, ha già “prodotto” condanne per nove imputati accusati di associazione di stampo mafioso e di una lunga serie di altri reati: in totale il giudice Claudio Ferrero aveva inflitto 69 anni e 4 mesi di carcere, con pene fra 7 e 11 anni (a parte un imputato che se l’è cavata con 8 mesi).

Altri cinque nigeriani hanno scelto di affrontare il processo, quasi tutti dal carcere e collegati in videoconferenza. Fra le accuse emerse durante l’inchiesta, coordinata dai pubblici ministeri Marco Sanini ed Enrico Arnaldi Di Balme, c’è quella di aver trascinato un rivale in giardino, averlo fatto inginocchiare e averlo preso a calci e pugni per farsi consegnare 500 euro e convincerlo a entrare del clan. Con il capo che, al telefono, ordinava di continuare a picchiare: era il 6 marzo 2020, in un palazzo di via Cigna, e i pm l’avevano descritta «un’irruzione squadrista con metodi mafiosi».

Ma è solo dei tanti episodi contestati alla “Eyie Supreme Confraternity”, uno dei più pericolosi clan che hanno messo le mani su Torino. Gli atti del processo ricostruiscono come funziona l’associazione, con ruoli ben precisi come i clan “nostrani”: i capi sono i “World Ebaka”, per esempio. A scendere ci sono gli “Engine”, cui spetta l’incarico di coordinatore del Piemonte, i capi delle singole zone, gli assistenti e i tesorieri. Sono armati di coltelli e asce, seguono regole ferree e versano parte dei guadagni all’associazione: «Devono rispetto e obbedienza ai vertici, che possono imporre sanzioni corporali in caso di violazioni». Secondo quanto ricostruito dalla procura, a Torino gli Eyie hanno il loro quartier generale nel famigerato palazzo di corso Vigevano 41, da anni al centro di inchieste e perquisizioni. Da lì, stando alle accuse, governano lo spaccio nell’area di piazza Baldissera e corso Vigevano, che difendono dai clan rivali dei Maphite e e dei Viking.

I dettagli dell’affiliazione, però, non sono così chiari. Per questo ieri il pentito è entrato nel dettaglio su obiettivi, metodi e addirittura sulle strette di mano fra membri: «Alle riunioni bisogna essere presenti, a meno di avere dei buoni motivi - ha raccontato il testimone con l’aiuto di un interprete e l’assistenza del suo avvocato, Nadia Garis - In ogni caso bisogna fare quello che si deve». Cioè quello che viene ordinato dai capi. Ma cosa si guadagna a essere al vertice del clan? «Prestigio, potere e soldi» conclude il testimone.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.