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L'inchiesta

La cocaina in nave e l'hashish in camion: ecco come la droga invade Torino

Gli stupefacenti passano tre continenti prima dello sbarco in città

La cocaina in nave e l‘hashish in camion: ecco come la droga invade Torino

Partenza in nave dal Sud America, tappa in Spagna o in Olanda e destinazione Torino a bordo di camion o auto modificate: ecco il tragitto della cocaina che sempre più spesso si vede passare di mano in mano nelle strade della città. O che viene custodita negli appartamenti e nei magazzini di trafficanti e spacciatori, come quello arrestato qualche giorno fa con sette chili di polvere bianca in un controsoffitto. E i passaggi non sono molto diversi se si “cambia” droga, anche se recenti rapporti e inchieste hanno fatto emergere come il punto di partenza dell’hashish sia soprattutto il Marocco.

In tre continenti

Per orientarsi in questo stupefacente viaggio tra oceani e continenti, basta sfogliare l’ultimo rapporto del Global Initiative Against Transnational Organized Crime, organizzazione internazionale che lotta contro i grandi gruppi criminali. Così si scopre come il traffico della cocaina parta dai Paesi produttori del Sud America, come Colombia e Perù, per spostarsi sempre di più verso l’Africa. Il passaggio avviene nei porti del Brasile, da dove navi cariche di droga partono verso Senegal, Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio. Lì la sostanza viene lavorata sotto il controllo della mafia locale ma anche di quella nostrana, con la ‘ndrangheta e la camorra particolarmente attive ad Abidjan, la capitale della Costa d’Avorio.

Da lì i carichi di cocaina partono per l’Europa: storicamente i porti privilegiati sono quelli del Nord, come Rotterdam e Anversa. Come faceva la banda del boss Geront Dedja, albanese 43enne appena condannato a 12 anni di carcere: compravano quintali di coca al prezzo di 27mila euro al chilo, investendo anche più di 200mila euro per volta. Una volta sbarcata dalle navi in Olanda, la caricavano su Suv tracciati con il Gps e modificati per creare dei vani nascosti. In Italia poi la droga arrivava alla base torinese, un autolavaggio di via Giachino, nel quartiere di Borgo Vittoria. Ma anche in altre due “filiali”, a Frosinone e Lissone (in provincia di Monza Brianza). Da quei luoghi di copertura partiva lo spaccio al dettaglio attraverso smartphone appositamente programmati per evitare le intercettazioni.

Ora, dopo i tanti sequestri e inchieste che hanno smascherato le tecniche dei trafficanti, il vecchio percorso sta cedendo sempre di più il passo a quello via Spagna: i carichi arrivano a Valencia o a Cadice sulle “narco-barche” cariche di container difficili da individuare e poi smistati per i Paesi e le città di destinazione. Spesso con altre imbarcazioni ma anche camion, tir e auto appositamente modificate per questo tipo di trasporto.

Milioni di euro

Di pari passo con il traffico di cocaina dal Sud America, c’è quello dei cannabinoidi dall’Africa. E anche qui, nonostante un costo al dettaglio nettamente inferiore, si parla di un giro d’affari milionario. Per avere un’idea, basti pensare all’inchiesta che ha portato alla sbarra una banda di 13 marocchini, assistiti tra gli altri dagli avvocati Roberto Doriguzzi Breatta e Cosimo Palumbo: con un “direttore” a gestire i rapporti con i fornitori in Italia e all’estero, l’associazione a delinquere si era organizzata con auto dal doppio fondo, camion, cellulari non intercettabili e magazzini dove stoccare e lavorare la merce. I carichi partivano dal Marocco, passavano dalla Spagna e arrivava direttamente nelle piazze di spaccio di Torino (ma anche di altre zone d’Italia, come il Friuli, il Trentino e la Toscana).

In ballo c’erano cocaina e soprattutto hashish. E si parla di carichi enormi, come dimostra il blitz della Guardia di finanza scattato il 31 ottobre di un anno fa: oltre ad arrestare i 13 marocchini, gli uomini delle Fiamme gialle si sono presentati nei depositi di Leinì e di Torino, in via Cirenaica 45/A. Qui i cani antidroga hanno trovato un totale di 386 chili di hashish, una “montagna di droga” che da sola avrebbe permesso di vendere 2 milioni e 486mila dosi singole. Così avrebbe fruttato la bellezza di oltre 11 milioni di euro.

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