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Il processo
21 Novembre 2024 - 10:20
Marco Gilioli aveva raccontato in un libro il suo “buio interiore”. Ed era anche stato ricoverato per i suoi deliri: eppure, tra il 29 e il 30 settembre dell’anno scorso, era nella sua casa di Giaveno. Solo e libero di uccidere a coltellate il vicino 71enne, Emilio Mazzoleni, come aveva ammesso lo stesso Gilioli tre giorni dopo l’arrivo dei carabinieri. Un momento di lucidità in mezzo a un “vizio di mente” che ieri ha spinto i giudici della Corte d’Assise ad assolvere il 37enne dall’accusa di omicidio: lo hanno ritenuto non imputabile ma comunque socialmente pericoloso, quindi ne hanno disposto il ricovero per dieci anni in una struttura sanitaria.
«Ho sentito delle voci che mi dicevano di uccidere» aveva detto Gilioli durante l’udienza di convalida del fermo. Una sostanziale confessione dell’omicidio e di come lo ha commesso, sconvolgendo la tranquillità di borgata Roccette, un pugno di case dentro la frazione Maddalena di Giaveno. È lì che il 37enne Gilioli ha preso una sedia di legno e l’ha usata per uccidere Mazzoleni. Poi ha sgozzato Pluto, l’amato cagnolino della vittima, “colpevole” di abbaiare troppo e dare fastidio. E tutto intorno alla casa ha piazzato copie di “Relatività perfetta”, suo delirante saggio di 55 pagine.
Fin dall’inizio il movente dell’accaduto è stato attribuito alla schizofrenia di Gilioli, per cui era in cura da tempo al Centro di salute mentale di Giaveno. Pochi giorni prima del massacro aveva detto allo stesso Mazzoleni e ad altri vicini: «Ho il diavolo in me, mi sto curando da solo per diventare quello che sono davvero».
I disturbi psichiatrici sono stati riportati anche nell’udienza di ieri dal pubblico ministero Manuela Pedrotta, che ha coordinato le indagini e ha raccolto 14 indizi contro il 37enne. Poi ne ha chiesto e ottenuto l’assoluzione perché Gilioli è totalmente incapace di intendere e volere, ritenendolo però altamente pericoloso per la schizofrenia. Invece i giudici hanno respinto la richiesta del difensore dell’imputato, l’avvocato Giorgio Papotti: «Avevo proposto di trasmettere gli atti alla procura per valutare le mancanze da parte chi aveva in cura il mio assistito, a partire dal Centro di salute mentale». Il legale ha anche ricordato che, nella confessione, il suo assistito aveva usato le stesse parole usate nel libro. In sostanza, forse qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa per evitare che si arrivasse a un omicidio: «Ma questa tesi non è stata accolta - allarga le braccia Papotti - Credo che si sia persa un’occasione».
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