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Il reportage
02 Ottobre 2023 - 06:00
L'arresto di Marco Gilioli
Marco Gilioli aveva “avvisato” Emilio Mazzoleni e altri abitanti della borgata: «Ho il diavolo in me, adesso mi sto curando da solo per diventare quello che sono davvero» aveva detto il 35enne di casa in borgata Roccette, un pugno di case dentro la frazione Maddalena di Giaveno. Dove, fra venerdì sera e sabato mattina, Gilioli è diventato un assassino: ha ucciso il suo vicino di casa, il 71enne Mazzoleni. Poi ha sgozzato Pluto, l’amato cagnolino della vittima. E tutto intorno alla casa ha piazzato copie di “Relatività perfetta”, delirante saggio di 55 pagine che aveva appena pubblicato.
Ieri, 24 ore dopo il ritrovamenti del corpo, i residenti della piccola borgata sopra Giaveno erano tutti lì, dove vivevano vittima e assassino: hanno accolto Christian, il figlio del 71enne venuto a bagnare le piante del papà. Lui preferisce non parlare, così come la compagna.
Le case di assassino (a destra) e vittima (a sinistra)
Quindi sono gli amici a provare a dare una spiegazione ai fatti dell’altra sera e a ricordare Mazzoleni: «Un uomo d’altri tempi - esordiscono Adriano, Carmen, Loris e un’altra vicina, che parla con le lacrime agli occhi - Aveva ereditato la ditta metalmeccanica del padre ma non era riuscito a salvarla. Quando aveva fatto fallimento, era rimasto senza soldi ma aveva pagato dipendenti e fornitori. Aveva sofferto per arrivare alla pensione ma era sempre solare e disponibile. Dicevamo che era “il sindaco della borgata” perché tutti lo conoscevano e tutti gli volevano bene». Anche il vicino che lo ha ucciso con i tronconi di una sedia di legno? «Sapevamo che Gilioli era bipolare e schizofrenico ma cercavamo di includerlo nella vita di comunità, invitandolo a giocare a bocce» rispondono.
Poi cos’è successo? «Faceva paura a tutti, avevamo detto a Emilio di fare attenzione e di avvisare le istituzioni. Il problema è che Gilioli aveva smesso di curarsi e di prendere le medicine. Lo si vedeva dalle frasi sul diavolo e dai comportamenti che aveva: si metteva in mutande e tagliava gli alberi, che poi faceva a pezzi e impilava in modo maniacale. Tagliava anche le piante di Emilio, che gli aveva semplicemente detto di non farlo più. Una volta Marco aveva anche preso a pugni e minacciato suo padre: “Se torni, ti ammazzo” gli aveva detto. Ed Emilio aveva chiamato i carabinieri: probabilmente l’altro non gliel’ha perdonato e covava rancore da allora. È una tragedia annunciata, diventata un omicidio premeditato».
Saranno le indagini dei carabinieri e del pm Manuela Pedrotta a chiarirlo. Finora l’assassino non ha detto nulla agli inquirenti, arrivati a lui molto in fretta: «La sera prima Emilio e la compagna si erano dati appuntamento telefonico alle 7.30 del mattino - riporta Adriano, che abita accanto a vittima e killer - Lui non rispondeva e ha chiamato Giuseppe, un altro vicino». Che interviene: «Mi ha chiesto se avessi visto Emilio. Le ho risposto di no e lei è venuta di corsa dalla sua casa di Giaveno: poco dopo l’ho sentita urlare, l’ho raggiunta e ho trovato Emilio ai piedi del suo letto, con la testa fracassata e un lago di sangue intorno. La casa era sottosopra, con pure i vasi rotti». Lo stesso Giuseppe ha chiamato i carabinieri, che sono arrivati e hanno subito rintracciato Gilioli: era nudo, seduto nella basca da bagno. Come se aspettasse di essere arrestato. D’altronde aveva lasciato la sua “firma”: già dalla sera prima aveva piazzato le copie del suo libro nel giardino, che al mattino di sabato erano spuntate anche davanti a casa di Mazzoleni.
Dopo quello che è successo, intanto, in frazione Maddalena vanno tutti all’attacco dei servizi sociali e del Centro di salute mentale di Giaveno, che aveva in cura Marco Gilioli: «Perché viveva qui da solo e venivano a controllarlo solo ogni tanto? - si chiedono i vicini di casa dell’assassino e della sua vittima, Emilio Mazzoleni - Ci risulta che una volta non lo abbiano neanche trovato ma non abbiano fatto nulla. Avrebbero dovuto tenerlo in ospedale dopo l’ultimo Tso o almeno tenerlo maggiormente d’occhio, considerando che aveva già minacciato il padre e tutti avevamo paura di cosa potesse fare». Lo sapeva anche il parroco della borgata, don Gianni Rege Gianas: «Non me l’aveva detto Emilio ma altri residenti mi avevano confidato la loro preoccupazione».
Il parroco di frazione Maddalena, don Gianni Rege Gianas
E' anche per questo che ieri, al termine della messa, il sacerdote non ha risparmiato una riflessione su quanto successo 24 ore prima a poche decine di metri dalla chiesa: «Non possiamo non ricordare Emilio, che è stato ucciso ieri - ha detto don Rege Gianas dal pulpito - Ma anche questo ragazzo malato di schizofrenia, uno dei tanti che le nostre famiglie hanno in casa. Una vera tragedia per loro, lasciati soli e senza cure dai tagli alla sanità che sono stati fatti. C’è una grande responsabilità sociale dietro a questi gesti». Il parroco, al termine della messa, ha poi fatto riferimento al Vangelo di ieri e alle sue similitudini con quanto successo poche ore prima: «Parlava della parabola della vigna, che va curata per evitare che venga avvolta dai rovi: è quello che dovremmo fare tutti noi, come singoli e come società. Altrimenti rischiamo che la violenza prevalga sull’amore, come ieri».
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