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L'inchiesta
28 Novembre 2024 - 07:00
Ci sono le date che non tornano e le firme diverse da una versione all’altra dello stesso documento. E quegli 80 milioni che i fratelli Elkann avrebbero dovuto dare alla nonna in cambio del 41,29% della Dicembre: non sarebbero mai stati pagati, anzi Marella Caracciolo avrebbe versato 100 milioni ai “cari” nipoti. Quindi le quote sarebbero rimaste alla nonna fino alla sua morte, quando non sarebbe stata versata la tassa di successione: calcolati a spanne, allo Stato mancherebbe il 4% di 1 miliardo e 600 milioni, cioè 64 milioni di euro.
Ecco tutto quello che emerge dall’ultimo atto dell’inchiesta sull’eredità Agnelli, partita dall’esposto della figlia Margherita e arrivata fino alla Dicembre. Ora è in discussione proprio la “cassaforte” di famiglia, cioè la società cui fanno capo (a cascata) la Giovanni Agnelli G.V., Exor, Stellantis, Ferrari, Phillips.
Il procuratore aggiunto Marco Gianoglio, con i sostituti Giulia Marchetti e Mario Bendoni, sostiene che il notaio Remo Maria Morone abbia commesso un falso in atto pubblico quando ha attestato la conformità della Declaratoria del 2021 sulla composizione e la struttura della Dicembre. E per questo è indagato insieme a Gianluca Ferrero, già coinvolto nell’inchiesta per frode fiscale e truffa ai danni dello Stato (insieme ai fratelli Elkann e al notaio Urs von Grueningen).
Gli inquirenti parlano di «complessiva fraudolenza» di quella Declaratoria, sia dal punto di vista dei documenti che sui rapporti finanziari. Intanto perché faceva riferimento agli atti di cessione della nuda proprietà delle quote della Dicembre, di cui mancano gli originali. Invece ci sono ben 4 versioni delle copie. E l’ultima, quella modificata per essere accettata nel Registro delle imprese, sarebbe stata falsificata aggiungendo la data “19 maggio 2004”. Senza contare che le firme erano diverse dalle versioni precedenti: in una, per esempio, Lapo Elkann ha aggiunto anche il secondo nome (Edovard) che manca nelle altre. Poi c’è il problema finanziario: stando agli accordi dell’epoca, gli Elkann avrebbero dovuto dare 80 milioni e 936mila euro a nonna Marella in cambio del 41,29% delle quote della Dicembre. Ma, mentre i nipoti ordinavano il trasferimento di quella cifra dalla Gabriel Fiduciaria, altri 100 milioni si spostavano attraverso più conti della banca Pictet di Ginevra: in particolare, uscivano 100 milioni dal mandato intestato a Marella Caracciolo e altrettanti entravano in quello di John Elkann (il 17 maggio, due giorni prima della firma della cessione).
Quindi, secondo l’accusa, i nipoti non hanno davvero pagato la nonna. Anche perché, come sostengono gli inquirenti, all’epoca non avevano sufficienti redditi per procedere in autonomia a un investimento del genere. Tradotto, quella vendita è «fittizia e artatamente costruita». E le quote erano rimaste nel patrimonio di Marella Caracciolo. La quale, se venisse confermato che viveva davvero in Italia e non in Svizzera, avrebbe dovuto pagare le tasse anche su quelle quote. Si parla di altri 64 milioni di imposte di successione, che si aggiungono a quasi 25 milioni già stimati da Procura e guardia di finanza (più 41 milioni di Irpef non pagata).
Lunedì gli inquirenti hanno cercato conferma dei loro sospetti nello studio legale Grande Stevens, con l’obiettivo di “scavare” nei faldoni, nei computer e nell’archivio riservato di Gianni Agnelli. Stanno cercando documenti che attestino i passaggi di proprietà dalla Dicembre e chiarire se gli Elkann ne siano entrati in possesso in modo lecito.
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