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L'inchiesta
15 Gennaio 2025 - 10:02
Scrivono in inglese e spiegano la loro versione dei fatti, chiedendo comprensione. Ma intanto attaccano «chi ha sfruttato la nostra situazione e il mercato immobiliare torinese, fatto di discriminazione nei confronti degli studenti stranieri»: a parlare sono 35 universitari iraniani arrivati a Torino nell'autunno 2023 e coinvolti nell'indagine della Guardia di finanza sulla "truffa delle borse di studio", emersa ieri con l'annuncio dell'operazione "Fake home" (case false in inglese).
Si parla di oltre mezzo milione di euro versati ingiustamente da Edisu, l'ente per il diritto allo studio, che ora hanno portato multe per 80 persone e la denuncia per 26 (l'accusa è indebite percezioni di erogazioni pubbliche). Si tratta per lo più di universitari di origine iraniana, indiana e pakistana, cui si aggiungono i veri artefici della frode: due proprietari di immobili, un 37enne ucraino e un 34enne italiano, e il loro intermediario con gli studenti.
Nei mesi scorsi 35 studenti iraniani si erano rivolti all'avvocato Fabrizio Cassella e avevano fatto ricorso al Tar contro le multe e le sospensioni delle borse di studio. Ma i giudici amministrativi si sono definiti "incompetenti" e hanno passato la palla al tribunale ordinario. Ora, con l'annuncio dell'indagine della Finanza, gli universitari scelgono di raccontare pubblicamente la loro verità: «Vogliamo spiegare con onestà e chiarezza questa vicenda, che è la conseguenza di circostanze che vanno totalmente oltre il nostro controllo - scrivono in una nota inoltrata dal loro legale - Le nostre difficoltà sono cominciate prima di arrivare in Italia, visto che molti di noi hanno subito ritardi nell'ottenere il permesso di soggiorno a causa delle inefficienza di Visametric, l'agenzia che fa da intermediario con l'ambasciata italiana. Un problema che non ci ha permesso di arrivare a Torino in tempo e cercare una casa sul posto. Così, come qualcuno di noi ha scritto a Edisu, abbiamo dovuto trovare una sistemazione a distanza».
I problemi sono poi continuati all'arrivo a Torino. Anzi, sono peggiorati: «Molti di noi sono arrivati senza sapere la lingua e tutti ci siamo scontrati con un mercato immobiliare duro e discriminatorio. Molti proprietari di case si rifiutavano di affittare a studenti stranieri, specialmente iraniani, lasciandoci con poche possibilità alternative. Questa sistematica discriminazione ha costretti molti di noi a cercare appartamenti in nero. E intanto siamo diventati il bersaglio facile dello sfruttamento: qualche personaggio si è avvantaggiato della nostra situazione, prendendo i nostri soldi senza darci la casa in cambio. Un'esperienza che ci ha danneggiato economicamente ma anche mentalmente, in aggiunta alle sfide di adattarsi in un nuovo Paese».
Ora i 35 studenti difendono a spada tratta il loro comportamento: «Come studenti internazionali, paghiamo tutte le nostre spese. Ma le borse di studio sono fatte per aiutarci a coprire affitti, cibo e trasporti: in questi mesi abbiamo usato per quello ogni euro che abbiamo ricevuto da Edisu, da cui dipende la nostra possibilità di sopravvivere e continuare a studiare in Italia. Ma va precisato che è previsto che venga destinato alla casa solo un terzo della borsa, mentre il resto è già garantito per le altre spese alla luce delle nostre condizioni economiche: non è logico pensare che rischieremmo il nostro futuro accademico, una residenza legale e tutto quello per cui abbiamo lavorato solo per ottenere una frazione minoritaria della borsa. Infatti non erano queste le nostre intenzioni. Noi siamo venuti in Italia solo per ricevere un'istruzione migliore». Per questo gli universitari iraniani respingono con forza le accuse: «Non volevamo violare alcuna regola o compromettere la nostra permanenza in Italia. Crediamo di aver ricevuto sanzioni sproporzionate, considerando le circostanze uniche e difficili che abbiamo affrontato. Senza contare che, se venissero confermate, potrebbero costringerci a distruggere i nostri sogni e a tornare in Iran: una conseguenza che avrebbe effetti devastanti e irreversibili sulle nostre vite. Abbiamo dedicato anni di duro lavoro e sacrifici per arrivare qui e vogliamo soltanto continuare per costruire una vita migliore per noi e le nostre famiglie».
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