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I retroscena

Sanità, il "buco" è colpa di 250 medici? «Non pagavano nulla»

Da un lato, l'ex commissario sentito nell'inchiesta su Città della Salute; dall'altro, i progetti futuri dell'assessore

Sanità, il "buco" è colpa di 250 medici? «Non pagavano nulla»

Da una parte, ci sono le 1.600 lettere che la Città della Salute aveva inviato ai suoi dipendenti, «250 medici che si erano tenuti in tasca gli emolumenti della prestazione» privata in intramoenia «e mai versati all’azienda». Dall’altra, c’è l’assessore alla Sanità Federico Riboldi, che chiede gli straordinari a quegli stessi medici (e a tutti quelli delle Asl piemontesi): «Da qui all’estate si lavorerà sabato, domenica, la sera, in forma volontaria, pagati con prestazioni aggiuntive. L’obiettivo è abbassare il peso delle liste d’attesa». E intanto, da fine febbraio, partiranno i controlli: una task force della direzione regionale e della neonata Unità di gestione delle liste di attesa andrà in ogni Asl e ospedale per verificare sul campo l’attività privata in rapporto ai tempi d’attesa delle prestazioni pubbliche.

Giustizia e politica sembrano intrecciarsi in questi giorni, in concomitanza con la chiusura dell’inchiesta sulla più grande azienda ospedaliera del Piemonte. E, mentre emergono gli interrogatori dei dirigenti imputati per il “buco” di bilancio della Città della Salute, rimbombano gli annunci di Riboldi e del nuovo commissario Thomas Schael. Obiettivo, sospendere l’attività privata (l’intramoenia) e convincere i medici a fare gli straordinari per il sistema sanitario pubblico, in modo da tagliare le liste d’attesa: «Si apriranno tutte le strutture di diagnostica, tutti i primi accessi e tutti gli ambulatori» ha spiegato ancora ieri l’assessore, a margine della cerimonia per la donazione di un macchinario al Regina Margherita.

Il progetto di Riboldi (e di Schael) ha già scatenato polemiche e critiche, come Chiara Rivetti (segretaria regionale del sindacato Anaao-Assomed): «Sospendere le visite intramoenia non è la soluzione: le liste d’attesa si abbattono assumendo medici e organizzando meglio. E qualcuno accetterà gli straordinari, gli altri resteranno a casa a badare ai figli».
Replica Riboldi: «Abbiamo il 10% dei nostri concittadini che oggi rinunciano alle cure e abbiamo una fetta importante di piemontesi che attendono anni nella sanità e non hanno risposte. Dico, con estrema serenità, che quando le liste d’attesa raggiungono livelli non più accettabili si deve sacrificare anche una parte del privato che viene operato all’interno delle nostre strutture. Siamo convinti che questa sia una delle soluzioni per migliorare la sanità pubblica».

Le parole dell’assessore tornano così a intersecarsi con uno degli argomenti al centro dell’inchiesta dei pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Rizzo, il mancato versamento della quota del 5% dei ricavi ottenuti con l’attività intramoenia, come previsto dal decreto Balduzzi per chi esercita privatamente negli ospedali pubblici. E che in Città della Salute, a quanto pare, non avveniva: se n’era accorto Giovanni La Valle, direttore generale imputato nell’inchiesta sul “buco” di bilancio dell’azienda sanitaria.

La Valle ne parla nelle dichiarazioni rilasciate ai pm esattamente un anno fa, quando ha raccontato che voleva «risistemare un Titanic». E uno dei suoi obiettivi era proprio l’ormai famigerata intramoenia, l’attività privata che i medici svolgevano fra le mura di Molinette, Cto, Sant’Anna e Regina Margherita: «Ad agosto 2022 abbiamo mandato 1.600 lettere verso tutti i medici che avevano effettuato attività di libera professione per cui non era stato applicato il 5% - spiega La Valle ai pm - Poi abbiamo trovato 3.700 fatture emesse dall’azienda (sempre libera professione) aperte per cui non era mai stato richiesto il pagamento. Si tratta di quasi 9 milioni di euro». E pensare che l’intramoenia dovrebbe portare ricavi all’azienda sanitaria, invece in Città della Salute provocava buchi: «Abbiamo individuato 250 medici che avevano riscosso l’emolumento della prestazione, tenuto in tasca, soldi mai riservati all’azienda. Una buona quota ha poi pagato, qualcuno no e abbiamo dato nota al Nucleo Investigativo (dei carabinieri, ndr) su chi non aveva restituito».

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