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L'inchiesta
20 Aprile 2025 - 12:00
«Oggi i ragazzini sono un insieme di pixel ma gli adulti devono essere il loro "specchio". Altrimenti vengono proiettati nel mondo dei grandi senza freni e senza la maturazione necessaria. Servono dei confini».
Così Antonella Anichini, neuropsichiatra infantile, commenta il caso della 12enne torinese che si è concessa a più ragazzi, maggiorenni e minorenni, per farsi apprezzare maggiormente dal gruppo. Una storia limite che, purtroppo, non è così rara: lo conferma anche Emma Avezzù, procuratrice capo al Tribunale dei minori, che racconta come bambine di 10 e 11 anni si fotografino nude e poi facciano circolare i loro scatti. E parla di una media di due segnalazioni a settimana.
«La maturazione puberale è sicuramente anticipata rispetto al passato, anche in virtù dell’alimentazione - premette la dottoressa Anichini, responsabile del day hospital psichiatrico-terapeutico dell'ospedale infantile Regina Margherita - Gli estrogeni delle carni aiutano questo sviluppo precoce. Almeno da un decennio, quindi, le ragazzine crescono prima dal punto di vista fisico. Ed è cambiato anche il canone estetico, non ci sono più i riti e i tempi di una volta in cui mettere il primo rossetto o il primo mascara. Le bambine, già dalla quinta elementare, cominciano a essere attente all’aspetto fisico: vogliono essere magre e belle, come dimostra l’esordio dei disturbi alimentari a 9-10 anni».

Nel caso della 12enne poi violentata a Porta Nuova, emerge dall'inchiesta che lei si sia concessa perché farsi apprezzare dal gruppo di amici. Si faceva vedere "procace e disponibile", scrivono i giudici. Cosa significa? «Si dice da sempre che i ragazzi hanno bisogno degli sguardi di ammirazione per non vergognarsi. Ora questa tendenza si è estesa con l’avvento dei social e dei like, che seppelliscono i dubbi tipici dell’adolescenza. I pixel sono tanti piccoli specchi ma poi dietro ci sono persone non selezionate, che guardano e poi agiscono senza sentimento e conoscenza. Il risultato è che il canale visivo prevale sul rapporto reale. Ed è veramente molto pericoloso perché non si ha il tempo per conoscere l’altro e decidere quando dargli spazio dentro di sé».
La dottoressa lo tocca con mano, visto che incontra una 15ina di adolescenti ogni giorno: «Tanti ragazzi ci raccontano situazioni simili. I genitori devono aver ben chiaro che i social sono un mondo parallelo a quello reale. La fase preadolescenziale è quella più pericolosa perchè la crescita neuronale non è completata, quindi si più esposti ai “pericoli” e al volere tutto e subito. A quell’età si vuole conoscere ed esplorare il mondo: è anche giusto ma serve un controllo da parte degli adulti». Ma come possono intervenire? «Io trovo preoccupante che si arrivi a cose fatte. Perché si dice che l'adolescenza sia nuova nascita ma c’è un "prima" in cui si possono gettare delle fondamenta. Non c'è niente di male a chiedere aiuto al pediatra ma anche a psicologi e neuropsichiatri. Perché così si ha un aiuto ad affrontare dubbi e fragilità, con un aiuto che chiede, guarda, percepisce e poi eventualmente mette il limite all’impulsività».

La dottoressa del Regina Margherita suggerisce anche altri modi per intercettare i problemi: «Sono fondamentali i rapporti fra pari ma in cui ci sono dei "grandi" in grado di intervenire, come le attività sportive. Così forse si riesce a intervenire prima che il danno sia avvenuto: spesso genitori e nonni sono sconcertati, non si rendono conto perché il mondo è cambiato rapidamente rispetto a quando erano ragazzi loro. Ma devono prendere consapevolezza e rassicurare i figli. Bisogna sospendere il giudizio e dare spazio affinché loro si fidino, senza mettersi sullo stesso piano ma aprendo la mente: l'obiettivo è crescere insieme ai propri figli, affrontando un percorso e mettendosi in discussione all’interno della coppia. Consiglio anche di creare alleanze fra adulti: genitori, nonni e insegnanti devono essere tutti dalla stessa parte».
Cosa consiglierebbe a un genitore di un adolescente, nel concreto? «Credo che sia importante fare cose insieme, in modo da "vedere" il ragazzo ma anche capirlo. Altrimenti si sa solo "dov'è" e non "chi è". D'altronde i ragazzi sono incerti, spesso non sanno cosa dire e spiegarsi. Quindi un'attività comune può aiutare a salvaguardare i ragazzi da esperienze per cui non sono attrezzati».
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