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La polemica
24 Aprile 2025 - 06:50
Papa Francesco
La fondatrice del Manifesto, Luciana Castellina, nell’articolo (l’Editoriale degli altri) che pubblichiamo integralmente a pagina 5, si sofferma sulla figura di Papa Francesco. Proprio lei, fedele a quell’area politica radicale che, parafrasando Jean Meslier («Vorrei che l’ultimo dei re venisse strangolato con le budella dell’ultimo prete», nelle intenzioni si è sempre riconosciuta nel motto di “dolciniana” memoria: «Vorrei che l’ultimo dei prete venisse impiccato con le budella dell’ultimo vescovo». Ora Castellina fa assurgere Francesco a leader di una congrega di “Tupamaros” in veste talare e riformatori della Chiesa di Roma. Perché Francesco, secondo la fondatrice del Manifesto, ha sempre guardato agli ultimi, ai poveri, ha combattuto il capitalismo, «come Carlo Marx». E’ vero, il pontificato di Francesco è stato caratterizzato da un’attenzione particolare verso gli ultimi, gli “scarti”, gli invisibili e il Papa ha più volte sottolineato come, il principio di solidarietà sia fondante per un nuovo ordine economico globale (ma non come Carlo Marx). Questi sono tutti insegnamenti che papa Francesco non si è inventato, ma che appartengono alla tradizione cattolica. Non è forse la Chiesa che nei secoli si è fatta promotrice delle più grandi iniziative di carità sull’intero pianeta? Si pensi alle missioni in terra d’Africa, in Sud America, nei paesi d’Oriente. Ma anche a casa nostra l’attenzione per i poveri e gli ultimi, i diseredati è stata primaria. Lo testimoniano le opere dei grandi santi, a cominciare dai piemontesi: San Giovanni Bosco, San Giuseppe Cottolengo, San Giuseppe Cafasso, il beato Luigi Orione, Pier Giorgio Frassati. Una tradizione che prosegue, fedele al Magistero, con il fondatore del Sermig Ernesto Olivero, con Luigi Ciotti del Gruppo Abele, con i centri di accoglienza di don Armando Picchi e del domenicano padre Giordano.
Senza contare tutte le opere meritevoli dell’esercito di parroci, ordini religiosi, gruppi ecclesiali che sono la ricchezza della Chiesa. No, Castellina, chi si occupa dei poveri non è un Tupamaros e un seguace di Carlo Marx, tutt’altro. Sul piano politico, poi, il discorso non cambia di molto. C’è una dottrina sociale della Chiesa che si perde nella notte dei tempi e che affonda le sue radici nell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, e siamo nel 1891. Una dottrina che ha alcuni elementi costitutivi: la solidarietà (La necessità di lavorare insieme per superare le difficoltà e di condividere le risorse per garantire a tutti una vita degna), la sussidiarietà (Le istituzioni superiori come lo Stato, devono assistere quelle inferiori, come le famiglie e le comunità locali, quando queste non sono in grado di provvedere ai bisogni dei cittadini), la dignità della persona (Ogni individuo ha diritti inalienabili, come il diritto alla vita, alla libertà, alla giustizia), il bene comune (La società deve essere organizzata in modo da promuovere il bene di tutti e di ciascuno, e non solo il profitto di alcuni e salvaguardare il creato e lo sviluppo sostenibile). Altro che Carlo Marx. Ebbene, il pontificato di Francesco si inserisce a pieno titolo nella tradizione sociale della Chiesa. Tirare la bonanima del Papa da una parte o dall’altra, significa compiere un falso storico e ideologico; strumentalizzare un insegnamento che nulla ha a che vedere con la lotta di classe o la dittatura del proletariato evocati dai rivoluzionari sudamericani. Se poi la vogliamo dirla tutta, bisogna ricordare che le radici culturali (e politiche) del cardinal Bergoglio non affondano certo nella tradizione marxista. Lo si è capito dai modi dei suoi comportamenti che molto assomigliano a quelli di un leader peronista descamisado. In fondo, la sua formazione “laica” è quella, e non altra, ma la dottrina è quella della Chiesa. Cosa accadrà ora? Il dopo Francesco sarà caratterizzato da un pontificato progressista o conservatore? Categorie, queste, che appartengono più che altro a noi giornalisti che paragoniamo (sbagliando, ma così va il mondo) il pre conclave ad una sorta di “calcio mercato” che ci impegna a individuare il Papa nuovo prima dell’elezione. Ma poi ci si mette lo Spirito Santo e noi restiamo a digiuno di scoop.
DI SEGUITO L'EDITORIALE DI LUCIANA CASTELLINA
In questo momento di grande tristezza per tanti nel mondo, una moltitudine di cui faccio parte anche io, di una cosa almeno sono contenta, anzi fiera: che sia stato il nostro manifesto nel 2016 a pubblicare e a distribuire insieme al quotidiano un libro che contiene uno dei più belli, e più significativi, discorsi di Bergoglio. E questo in un tempo in cui ancora era possibile che altra pur paludata stampa uscisse con titoli come questi: «Papa Francesco benedice i centri sociali»; «Bergoglio incontra il Leoncavallo»; «Zapatisti, marxisti, Indignados, tutti dal papa». (In seguito capirono che era troppo impopolare ricorrere a questo tono di ironico sprezzo quasi che Papa Francesco fosse un secondario personaggio qualsiasi, sicché si corressero un poco). Il libro di cui il nostro giornale si fece editore uscì in occasione dell’Incontro mondiale dei movimenti popolari (Emmp) a Roma, presenti fra gli altri un singolare e fino a poco prima presidente dell’Uruguay e prima guerrigliero Tupamaros, Pepe Mujica, la ben nota Vandana Schiva, assente invece l’invitato Bernie Sanders perché impegnato nella campagna elettorale americana. Più 99 organizzazioni di 68 paesi, una lista più o meno coincidente con quella dei movimenti che hanno partecipato ai nostri Forum Mondiali dei tempi di Porto Alegre, fra questi non a caso i Sem Terra brasiliani e il loro leader Stedile, analoghi i temi in discussione: ecologia, beni comuni, salario universale. All’appuntamento dell’anno precedente tenuto in Bolivia l’allora presidente Evo Morales aveva regalato al Pontefice venuto fino a laggiù per presiedere l’incontro una croce composta da una falce e un martello, e si potrebbe dire che quella singolare composizione lignea già a Roma sembrava tacitamente diventata il distintivo degli Emmp. Ho scritto «si potrebbe dire» perché so che bisogna fare attenzione. E però non si può non prendere atto che il pontificato di Francesco ha impresso alla politica vaticana una svolta di sostanza molto forte e chiara. Bergoglio non è stato infatti solo un papa più caritatevole, impegnato a esaltare generosità e sacrificio. Il messaggio del suo pontificato è stato direttamente politico, innanzitutto perché ha avuto il coraggio (che ahimè spesso manca a parte della stessa sinistra laica) di indicare con chiarezza il nemico, il colpevole dell’ingiustizia - «quella struttura ingiusta», dominata dal «primato del danaro che collega tutte le esclusioni», «rende schiavi, ruba la libertà», «mitizza il progresso infinito e l’efficienza incondizionata». Il capitalismo, insomma. La novità principale non sta solo nel vigore della denuncia dello stato delle cose presente, ma nell’identificazione di un nemico storicamente esistente, e, dunque alle contraddizioni che spaccano inevitabilmente la società e che impongono il dovere della lotta se si vogliono superare. Non si possono ignorare (potrebbe non essere la nostra vecchia lotta di classe, ma non si può pensare che il conflitto sia scomparso). È anche per questo che mi pare così importante l’insistenza di papa Francesco sulla necessità di quanto in questi ultimi decenni si è indebolito: la soggettività, la costruzione di un protagonismo del necessario agente del cambiamento, oggi addomesticato, anestetizzato. La soggettività, insomma. Agli sfruttati, alle vittime del sistema, il papa adesso si rivolge per invitarli a non restare «a braccia conserte», a «passare - come dice il documento conclusivo dell’incontro di Roma - dalla fase della resistenza a quella dell’appropriazione del potere politico, dalla lotta sociale alla lotta elettorale». Detta in due parole: capire che la solidarietà è autentica solo se si accompagna alla lotta. E perciò è indispensabile passare dalla carità alla politica, che quelle contraddizioni deve saper superare ma non ignorare. La frase più esplicita e polemica del papa è proprio questa: «Non serve una politica per i poveri, ma una politica dei poveri». O, come ha ancor più esplicitamente dichiarato parlando ai giovani: «Ragazzi, la carità è una bella cosa, ma serve la politica». Quanto stava a cuore anche a Carlo Marx e dovrebbe stare molto più di quanto non sia all’attenzione della sinistra, oggi.
Luciana Castellina
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