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19 Maggio 2025 - 17:45
In Italia, il sistema giudiziario non è immune da errori: ogni anno si verificano numerosi casi di condanne ingiuste e custodie cautelari non dovute. Persone innocenti finiscono dietro le sbarre per poi essere assolte dallo stesso tribunale che aveva ordinato la loro detenzione. In questi casi, l’ordinamento italiano riconosce il diritto a un risarcimento per l’ingiusta privazione della libertà. Questo principio è sancito anche dalla Costituzione, che prevede l’obbligo di stabilire, tramite legge, le modalità e i presupposti per ottenere una riparazione per gli errori giudiziari.
Chiaramente, nessun risarcimento può cancellare il trauma o restituire il tempo perduto. Tuttavia, un meccanismo di compensazione è previsto e grava ogni anno sulle casse dello Stato per milioni di euro. Nel corso del 2024, le Corti d’Appello italiane hanno riconosciuto 26,9 milioni di euro complessivi per risarcire casi di ingiusta detenzione. A fronte di 1.293 domande presentate da persone coinvolte, sono state emesse 589 decisioni favorevoli con relativo indennizzo. Ogni anno, il numero medio di procedimenti esaminati si attesta intorno a 1.218. Di questi, circa il 45,6% si è concluso con un esito positivo per il richiedente, mentre il 49,7% ha portato a un rigetto della richiesta di risarcimento.
Come viene determinato l’importo del risarcimento?
La normativa italiana stabilisce un tetto massimo per il risarcimento in caso di detenzione ingiustificata: l’indennizzo non può superare i 516.456,90 euro. Non esiste però una formula precisa per calcolare il valore economico di ogni singolo caso, poiché entrano in gioco numerosi fattori specifici. La cifra può variare in base a diversi elementi, come il numero di persone con cui si condivideva la cella, le condizioni in cui si è svolta la detenzione, il tipo di reato contestato, la distanza dalla famiglia e altri aspetti soggettivi.
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