Cerca

L'appello

Omicidio Cecchettin, l'appello della difesa: "Non c'era premeditazione"

Il legale di Filippo Turetta contesta la premeditazione, la Procura chiede il riconoscimento delle aggravanti di crudeltà e stalking

Omicidio Cecchettin, l'appello della difesa: "Non c'era premeditazione"

Filippo Turetta e il suo legale, l'avvocato Giovanni Caruso

Si riapre il confronto giudiziario sul caso di Filippo Turetta, condannato all’ergastolo lo scorso dicembre per il femminicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023. A pochi mesi dalla sentenza della Corte d’Assise di Venezia, sia la difesa dell’imputato che la Procura hanno presentato ricorso in appello, seppur con finalità diametralmente opposte.

Il legale di Turetta, l’avvocato Giovanni Caruso, ha depositato oggi l’istanza per chiedere l’esclusione dell’aggravante della premeditazione, contestata nella sentenza di primo grado, e la concessione delle attenuanti generiche. Tra gli elementi addotti dalla difesa, il comportamento collaborativo dell’imputato durante le indagini e il processo, oltre all’atteggiamento definito “composto” tenuto in aula.

Ma sul fronte opposto, anche la Procura di Venezia ha impugnato la sentenza, ritenendo che siano state ingiustamente escluse due aggravanti fondamentali: la crudeltà e lo stalking. Secondo i pubblici ministeri, i 75 colpi inferti a Giulia in un arco temporale di circa 20 minuti configurano un livello di violenza tale da non poter essere derubricato a "inesperienza", come invece argomentato dalla Corte nelle sue motivazioni.

La sentenza di primo grado si era infatti appoggiata a una pronuncia della Cassazione del 2015, secondo cui la mera reiterazione dei colpi non implica automaticamente la crudeltà, se non eccede i limiti dell’atto omicidiario in sé. I giudici veneziani avevano ritenuto che l’azione di Turetta, sebbene brutale, fosse una conseguenza della sua "inesperienza e inabilità", piuttosto che un atto deliberato di efferatezza. Per quanto riguarda lo stalking, la Corte non aveva riconosciuto l’aggravante ritenendo che la condotta di controllo ossessivo e l’invio di centinaia di messaggi al giorno alla vittima non si collocassero temporalmente "in prossimità e a seguito del termine della relazione", come previsto dal codice penale per configurare l’aggravante.

Una lettura che ora la Procura contesta con forza, affiancata dalla famiglia della vittima. “Ci rincuora il fatto che la Procura abbia impugnato la sentenza”, ha dichiarato l’avvocato Stefano Tigani, legale della famiglia Cecchettin. “Conferma che la nostra richiesta di appello era fondata e che ci sono elementi giuridici rilevanti da riesaminare”.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.