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Ambiente
10 Giugno 2025 - 15:15
La scarsità d'acqua potabile è una crisi globale che affligge metà della popolazione mondiale per almeno un mese all'anno, una situazione destinata a peggiorare drasticamente nei prossimi decenni a causa dei cambiamenti climatici, dell'esaurimento delle falde acquifere e della crescita demografica. Sebbene la desalinizzazione sia stata per decenni un salvavita in molte regioni aride, è sempre stata considerata una soluzione di "ultima spiaggia" a causa dei costi elevati e del grande consumo energetico. Tuttavia, una nuova e radicale tecnologia di desalinizzazione, proposta per la prima volta negli anni '60 ma solo ora fattibile, promette di cambiare radicalmente questo scenario: l'installazione di impianti direttamente sul fondo dell'oceano.
L'idea di base è di sfruttare la pressione naturale dell'oceano e la purezza dell'acqua marina a oltre 300 metri di profondità. Finora irrealizzabile, questa tecnica è diventata praticabile grazie ai progressi tecnologici, in particolare l'avvento dei robot per acque profonde, sviluppati originariamente per l'industria petrolifera e del gas, e i filtri avanzati a osmosi inversa, ormai standard nella desalinizzazione terrestre.
Tradizionalmente, gli impianti di desalinizzazione sulla terraferma si basavano sull'evaporazione, un processo estremamente energivoro. Come spiega Tom Pankratz, un veterano del settore con 45 anni di esperienza, "la desalinizzazione è il modo più costoso per produrre acqua, e non c'è modo di aggirarlo". L'introduzione dell'osmosi inversa intorno al 2000 ha dimezzato il fabbisogno energetico, spingendo la sua adozione a livello globale, ma il costo rimane elevato, tra i 2 e i 6 dollari per 3785 litri, principalmente a causa del prezzo dell'elettricità. Gli impianti terrestri comportano anche altre problematiche. Le prese d'acqua possono aspirare la fauna marina, mentre la salamoia concentrata di scarto può danneggiare l'ecosistema marino circostante, come dimostrato dal recente rifiuto di un impianto in California.
Le aziende pioniere di questa nuova frontiera, come Flocean (Oslo), Waterise (Paesi Bassi) e OceanWell (Bay Area), puntano a superare questi ostacoli immergendo gli impianti a una profondità di almeno 400 metri. Il principio è semplice: anziché pompare e pressurizzare l'acqua di mare in superficie, si sfrutta l'immensa pressione naturale delle profondità oceaniche. L'acqua di mare tende naturalmente a passare attraverso la membrana di desalinizzazione, a condizione che l'acqua dolce prodotta venga pompata in superficie. Questo si traduce in un risparmio energetico netto fino al 40%.
Nonostante le promesse, la realizzazione di questi impianti su larga scala non è priva di ostacoli. Finora, le tre aziende hanno costruito solo impianti modesti per dimostrare la loro fattibilità. Gli accordi che cercano sono contratti pluridecennali con i governi, essenziali per trasformare queste dimostrazioni tecnologiche in vere e proprie attività commerciali. Flocean ha installato il suo impianto pilota al largo della Norvegia e sta già producendo acqua ultrapura per un'azienda locale. Il suo primo cliente su larga scala sarà un impianto industriale offshore in Norvegia, con una produzione prevista di circa 1 milione di litri d'acqua al giorno a partire dalla seconda metà del 2026. Waterise ha annunciato un accordo per fornire 25 milioni di litri di acqua desalinizzata al giorno a Jordan Phosphates Mines nel Golfo di Aqaba. Anche OceanWell ha un impianto dimostrativo in California.
Nonostante queste incertezze, l'ottimismo è palpabile. Tom Pankratz è fiducioso che almeno una di queste aziende riuscirà a rendere la desalinizzazione in acque profonde una realtà. La questione non è "se", ma "quanto tempo ci vorrà e quante di queste cose ci saranno alla fine". La desalinizzazione sottomarina potrebbe non essere la panacea, ma rappresenta un significativo passo avanti nella ricerca di soluzioni sostenibili per garantire l'accesso all'acqua potabile a un mondo sempre più assetato.
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