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Oro illegale dall’Amazzonia: nelle carte dell’inchiesta brasiliana spunta Italpreziosi

Maxi indagine svela un traffico internazionale di metalli preziosi estratti in aree protette

Oro illegale dall’Amazzonia: nelle carte dell’inchiesta brasiliana spunta Italpreziosi

Un’inchiesta della Polizia Federale brasiliana ha portato alla luce un vasto sistema di estrazione ed esportazione illegale di oro dall’Amazzonia, stimato in oltre 4 miliardi di reais (circa 700 milioni di euro). Al centro delle indagini figurano spedizioni d’oro dirette anche verso l’Europa. Tra i destinatari, emerge anche la Italpreziosi, raffineria con sede ad Arezzo, che però non risulta indagata.
Secondo i documenti ottenuti dai giornalisti brasiliani, Italpreziosi ha ricevuto tra il 2017 e il 2021 spedizioni da due esportatori sotto inchiesta: Pemex Comercial Exportadora e Amazônia Trading Express. Le aziende avrebbero operato illegalmente in aree protette, comprese terre indigene, tra cui la Terra Indigena Munduruku nello Stato del Pará, dove l’estrazione con mercurio ha già provocato gravi danni sanitari tra le popolazioni locali.

Le spedizioni verso l’Italia sono documentate da almeno quattro fatture di trasporto aereo, per un valore complessivo di circa 5,8 milioni di dollari. Una spedizione di 10 kg d’oro da parte della Pemex risale all’agosto 2021, valutata 624 mila dollari. Un’altra del giugno 2020 ammontava a 1,5 milioni di dollari. Altri carichi sono partiti nel 2017 e 2021, per un totale di oltre 100 kg d’oro.

Il pubblico ministero federale accusa le aziende coinvolte di aver utilizzato concessioni minerarie fittizie per “ripulire” l’oro, facendolo apparire legale nonostante la provenienza illecita. Il metallo veniva poi esportato verso diversi Paesi, tra cui Emirati Arabi Uniti, India, Hong Kong, Svizzera e Italia. Nel caso italiano, Italpreziosi risulta destinataria ufficiale nei documenti giudiziari, che includono anche fatture di vendita. La società toscana ha dichiarato che i rapporti con l’importatore Ororeal LLC si sono interrotti nel 2021, prima dell’emersione delle accuse. “Non essendo emersi sospetti né nella due diligence ordinaria né in quella rafforzata, il rapporto è stato mantenuto con monitoraggio periodico”, ha spiegato l’azienda, ribadendo di non aver riscontrato irregolarità.

La vicenda coinvolge anche grandi nomi dell’industria tecnologica: Italpreziosi è presente nelle liste dei potenziali fornitori di Apple, Tesla e NVIDIA. Le prime due non hanno risposto alle richieste di commento, mentre NVIDIA ha dichiarato di monitorare con attenzione la provenienza dei minerali, sottoponendo i fornitori a verifiche regolari. Italpreziosi, dal canto suo, afferma di non avere rapporti diretti con questi marchi.
Il cuore dello schema illecito sarebbe Isaac Fuhrmann Cula, indicato come uno degli artefici dell’organizzazione internazionale. Socio sia di Ororeal che di Amazônia Trading, è tra i 36 imputati denunciati dal ministero pubblico brasiliano. La rete avrebbe fatto uso di società di comodo, concessioni fasulle e perfino identità di persone decedute per camuffare la filiera dell’oro.

Tra i soggetti sotto inchiesta anche la Confiança Comércio de Metais, che avrebbe emesso fatture a nome di 13 individui già deceduti. Secondo le autorità, il sistema si fondava sulla simulazione di attività minerarie in aree dove le immagini satellitari non rilevavano alcuna operazione effettiva. L’indagine, nota come Operazione Sisaque, è partita nel 2023 e punta a smantellare le connessioni tra il garimpo illegale e il mercato globale. Secondo Greenpeace, tra il 2023 e il 2024 oltre 4.200 ettari di terre indigene amazzoniche sono stati devastati dall’estrazione clandestina. La legge brasiliana consente l’attività mineraria solo in presenza di autorizzazioni ufficiali.

Attraverso i loro avvocati, anche Isaac Fuhrmann Cula e Marina Galo Alonso, socia di Amazônia Trading, hanno negato qualsiasi coinvolgimento con l’oro illegale, dichiarando di aver sempre richiesto documentazione ai fornitori e di non essere a conoscenza di attività illecite.
Il caso riaccende i riflettori sulla filiera globale dell’oro e sull’urgenza di tracciabilità, trasparenza e responsabilità etica.

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