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Le nuove disposizioni

Italia riapre le miniere dopo 40 anni: un ritorno all'estrazione di materie critiche tra speranze e scetticismi

Il governo approva il primo programma di esplorazione mineraria dal 1984, con 14 progetti e un investimento iniziale di 3,5 milioni di euro

Italia riapre le miniere dopo 40 anni: un ritorno all'estrazione di materie critiche tra speranze e scetticismi

Dopo quarant'anni di abbandono del settore estrattivo, il governo italiano ha approvato il primo programma di esplorazione delle miniere in Italia. Il Comitato interministeriale per la Transizione Ecologica ha dato il via libera a 14 progetti di ricerca distribuiti dal Piemonte alla Sardegna, coinvolgendo oltre 400 specialisti con un investimento iniziale di 3,5 milioni di euro. L'iniziativa, coordinata dal Servizio geologico d'Italia dell'Ispra, punta a ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, essenziali per la transizione energetica. Tuttavia, gli analisti del settore esprimono scetticismo sui tempi di realizzazione e sull'effettiva capacità di competere con i mercati internazionali, gli stessi che negli anni Ottanta spinsero alla chiusura delle ultime miniere italiane.

La strategia italiana si inserisce nel quadro del Critical Raw Materials Act, la normativa europea entrata in vigore nel maggio 2024. Questa legge fissa obiettivi ambiziosi da raggiungere entro il 2030, tra cui l'obbligo per gli Stati membri di coprire almeno il 10% del fabbisogno di materie prime strategiche attraverso l'estrazione interna. Bruxelles, tuttavia, non ha previsto nuovi fondi dedicati, limitandosi a semplificare le procedure autorizzative e a favorire l'accesso ai finanziamenti già esistenti.

Le stime attuali restano poco incoraggianti: secondo Fastmarkets, la produzione europea di litio carbonato equivalente si fermerà a 135mila tonnellate nel 2030, a fronte di una domanda attesa di 380mila. Nel frattempo, la Cina mantiene una posizione dominante nel settore, controllando l'80% della produzione globale di terre rare e oltre il 60% della capacità mondiale di produzione di batterie al litio, una situazione che espone l'Europa al rischio di interruzioni nelle forniture.

L'industria mineraria italiana ha conosciuto un lungo declino iniziato negli anni Settanta, quando la perdita di competitività portò alla chiusura di centinaia di siti estrattivi. Fino al 1984, l'Italia era autosufficiente in alluminio, zolfo, piombo e zinco, con la Sardegna che rappresentava il cuore dell'attività estrattiva nazionale. La decisione di abbandonare il settore fu dettata dalla convenienza economica delle importazioni e dai costi crescenti dell'estrazione locale, ma oggi quella scelta si rivela strategicamente problematica. L'ultimo grande progetto minerario, la miniera di zinco di Gorno in Lombardia, chiuse nel 1982, simbolo di un'industria che l'Italia scelse deliberatamente di dismettere.

Il programma attuale prevede indagini concentrate nelle stesse aree che quarant'anni fa si rivelarono economicamente insostenibili. In Sardegna si cercheranno tungsteno, terre rare e rame nel distretto di Funtana Raminosa, mentre nel Centro Italia l'attenzione sarà rivolta al litio in contesti geotermali e sedimentari. Per ora, per limitare l'impatto ambientale e le opposizioni locali, si eviteranno scavi e perforazioni, affidandosi invece a tecniche di rilevamento a distanza come la radiografia muonica (che usa particelle provenienti dallo spazio per osservare il sottosuolo senza danneggiarlo) e a sistemi di intelligenza artificiale per analizzare le immagini satellitari.

Solo in una fase successiva, e previa autorizzazione ambientale, si passerà a indagini dirette. I dati raccolti confluiranno nel database nazionale GeMMA, una mappa digitale delle risorse minerarie italiane finanziata dal PNRR. Parallelamente, il progetto Urbes investirà 10 milioni di euro per catalogare le discariche di scarti minerari, nella speranza che le tecnologie attuali permettano di recuperare materiali preziosi un tempo irrecuperabili.

Il piano europeo per riconquistare una parziale autonomia mineraria è molto ambizioso, considerando che l'Europa ha progressivamente abbandonato quasi tutte le attività estrattive ritenute poco redditizie e dannose. Non sorprende che la maggior parte dei progetti avviati negli ultimi anni abbia incontrato forti opposizioni: in Serbia, le proteste contro il progetto di Rio Tinto nella valle di Jadar hanno costretto il governo a bloccarlo, mentre in Portogallo le contestazioni contro il progetto Barroso proseguono da oltre due anni.

Oltre alle resistenze locali, pesa il nodo dei tempi di sviluppo, spesso incompatibili con gli obiettivi politici. Servono in media dai 7 ai 15 anni per passare dalla scoperta di un giacimento all'entrata in funzione di una filiera produttiva completa, un percorso che nelle democrazie occidentali risulta ancora più lento a causa dei vincoli ambientali e delle lungaggini burocratiche. Nel frattempo, la domanda di litio è destinata a crescere di diciotto volte entro il 2030, ma anche i progetti più avanzati faticano a rispettare le tempistiche.

Il governo italiano ha tentato di accelerare i processi prevedendo licenze estrattive da rilasciare entro 18 mesi e procedure semplificate per i progetti strategici, inclusa la possibilità di ottenere permessi di esplorazione senza valutazione di impatto ambientale. Questa scelta ha suscitato immediate critiche dalle associazioni ambientaliste, come Friends of the Earth, che denunciano un abbassamento degli standard di protezione e sostengono che l'apertura di nuove miniere in Europa non diminuirà i problemi delle miniere extra-UE, ma aumenterà semplicemente il numero di progetti estrattivi a livello globale.

La contraddizione più evidente emerge dal confronto tra obiettivi e risorse. I 3,5 milioni di euro stanziati per la prima fase di esplorazione appaiono modesti se confrontati con gli investimenti necessari per sviluppare progetti minerari competitivi. L'esperienza internazionale indica che servono centinaia di milioni di euro per portare una miniera dalla fase esplorativa alla produzione commerciale, cifre che l'Italia dovrà trovare in un contesto di bilanci pubblici sotto pressione.

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