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Lo studio
08 Luglio 2025 - 22:40
C'è una correlazione significativa tra una dieta ricca di alimenti ultra-processati (UPF) e un più rapido invecchiamento biologico. È quanto emerso da un recente studio condotto dall’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (I.R.C.C.S.) Neuromed di Pozzilli (IS), in collaborazione con l’Università LUM di Casamassima (BA).
Pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The American Journal of Clinical Nutrition, questo lavoro offre nuove prospettive su come la qualità degli alimenti, non solo in termini nutrizionali ma anche di lavorazione e formulazione, possa influenzare profondamente la salute a lungo termine.
Lo studio si basa sui dati raccolti nell’ambito dello Studio Moli-sani, uno dei più ampi studi epidemiologici italiani, che ha coinvolto per 20 anni 25.000 cittadini adulti residenti in Molise. Attraverso un approfondito questionario alimentare, i ricercatori hanno analizzato le abitudini alimentari dei partecipanti, calcolando il loro livello di consumo di UPF.
Gli alimenti ultra-processati sono prodotti industriali confezionati che subiscono molteplici fasi di trasformazione e contengono ingredienti aggiunti come zuccheri, sale, additivi, coloranti e aromi. Si distinguono per essere molto diversi dalla forma originaria degli alimenti da cui derivano, presentano spesso etichette con lunghe liste di componenti poco familiari e sono progettati per una lunga conservabilità.
Questi alimenti sono ampiamente diffusi nella dieta moderna e includono non solo snack salati, dolci confezionati o bibite gassate, ma anche prodotti apparentemente innocui come:
Pane di cassetta confezionato
Alcuni tipi di cereali da colazione
Zuppe pronte
Piatti pronti surgelati
Yogurt aromatizzati
La lavorazione industriale e la diversa formulazione del prodotto possono modificare sostanzialmente la struttura degli alimenti, alterandone la matrice e riducendone il contenuto naturale di nutrienti, vitamine e fibre. Inoltre, durante tali processi si possono generare nuove sostanze che possono interagire negativamente con il metabolismo, l’infiammazione cronica e la composizione del microbiota intestinale.
Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda il packaging: molti UPF vengono venduti in contenitori di plastica o materiali multistrato che possono rilasciare contaminanti chimici potenzialmente dannosi per l’organismo, come ftalati o bisfenoli.
A differenza della semplice età anagrafica, l’età biologica è un indicatore molto più complesso che riflette lo stato di salute reale dell’organismo, inclusa la funzionalità degli organi, la salute dei tessuti e il livello generale di infiammazione sistemica. Per stimare questa età "interna", i ricercatori hanno utilizzato una combinazione di oltre trenta biomarcatori ematici.
“L’analisi ha evidenziato che le persone che riportavano un maggiore consumo di alimenti ultra-processati presentavano, in media, un’età biologica superiore rispetto alla loro età cronologica, indicando una possibile accelerazione dell’invecchiamento dovuta proprio ad un consumo più elevato di questi alimenti”, afferma la dottoressa Simona Esposito, prima autrice dello studio e vincitrice del Premio “Gianni Barba” della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) per la migliore ricerca scientifica nel campo della nutrizione umana under 35.
Un aspetto particolarmente rilevante dello studio è che il rapporto tra consumo di alimenti ultra-processati e invecchiamento è risultato indipendente dalla qualità complessiva della dieta. Anche le persone che seguivano regimi alimentari considerati equilibrati dal punto di vista strettamente nutrizionale (ad esempio, ricchi di frutta, verdura e fibre), ma che includevano una quota significativa di cibi ultra-processati, mostravano segni di invecchiamento biologico più rapido.
Sebbene siano necessari ulteriori studi di intervento per confermare queste osservazioni e comprendere appieno i meccanismi biologici, i dati epidemiologici disponibili sono sufficienti a sollecitare una riflessione profonda sulle raccomandazioni alimentari. L’attenzione, finora focalizzata quasi esclusivamente sui valori nutrizionali (calorie, grassi, zuccheri, sale), dovrebbe includere anche il grado di trasformazione industriale dei cibi.
“Questi risultati rappresentano un ulteriore richiamo a considerare l’alimentazione non solo come fonte di energia e nutrienti, ma come un potente strumento capace di influenzare la longevità e la qualità della vecchiaia e della vita", conclude la dott.ssa Esposito. "In un contesto in cui l’invecchiamento della popolazione è una delle principali sfide sanitarie dei prossimi decenni, comprendere e limitare i fattori che accelerano il declino biologico rappresenta una priorità di salute pubblica”.
È fondamentale educare i consumatori a leggere le etichette, a riconoscere la natura degli alimenti e a privilegiare, laddove possibile, prodotti freschi e minimamente lavorati, prendendo come riferimento la Dieta Mediterranea tradizionale.
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