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Ambiente
09 Luglio 2025 - 10:20
Già da tempo è stata accertata la presenza di microplastiche negli organismi marini, e le contaminazioni, purtroppo, non si fermano qui. Una nuova e allarmante ricerca sulle balenottere comuni del Mediterraneo rivela un quadro ancora più preoccupante, gettando luce su una minaccia invisibile ma devastante.
A portare avanti questa ricerca pionieristica è stata la professoressa Maria Cristina Fossi, docente di Ecologia ed Ecotossicologia all’Università degli studi di Siena. Il suo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Environmental Science & Technology, è un campanello d'allarme globale. Infatti, la ricerca evidenzia l’esposizione dei cetacei a un incredibile mix di inquinanti, sia di vecchia che di nuova generazione. La lista delle sostanze rilevate ha dell'incredibile: nicotina, filtri UV, paracetamolo, policlorobifenili (PCB) e i famigerati PFAS. Per scoprirlo, i ricercatori hanno effettuato delle biopsie cutanee, prelevando piccoli campioni di tessuto da esemplari sia nel Mar Mediterraneo che nel Mare di Cortez, in Messico.
La ricerca, però, va oltre la semplice individuazione degli inquinanti. La professoressa Fossi e il suo team hanno infatti anche dimostrato gli effetti diretti di queste sostanze sulla salute di questi animali marini. In ben 32 casi analizzati, i contaminanti sono stati direttamente collegati a diverse problematiche di salute, come la disfunzione endocrina, i processi infiammatori e l’omeostasi lipidica.
«I nostri risultati suggeriscono che esposizioni chimiche antropogeniche cumulative possano compromettere la salute e la capacità riproduttiva delle balenottere comuni del Mediterraneo, rafforzando il loro ruolo come specie sentinella a livello globale» ribadisce con forza la professoressa Fossi. La balenottera, infatti, non solo si trova al vertice della catena alimentare, ma è anche uno degli animali a muoversi di più tra gli oceani. Il fatto che mostri tali livelli di contaminazione e alterazioni biologiche, è un segnale di allarme per l'intero ecosistema marino, e di riflesso, per la nostra stessa salute.
La professoressa conclude con un appello alla comunità scientifica e non solo: «L’auspicio è che studi come questo favoriscano le future ricerche nel settore della conservazione e della salvaguardia dell’ambiente marino mediterraneo, in particolare sulla diffusione dei contaminanti emergenti». È fondamentale continuare a investigare e comprendere la portata di questa minaccia invisibile per poter sviluppare strategie efficaci di mitigazione e protezione.
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