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Il Piemontese è una lingua o un dialetto? Parla l'Unesco

Una riflessione contro il pregiudizio linguistico e a favore del riconoscimento ufficiale dell’identità culturale piemontese

Il Piemontese è una lingua o un dialetto? Parla l'Unesco

Anziani

È una delle lingue romanze più trascurate, ma anche tra le più antiche. Il piemontese, spesso etichettato come dialetto, è invece una lingua a tutti gli effetti: lo confermano linguisti, filologi e perfino l’Unesco, che lo inserisce tra gli idiomi a rischio ma ancora vivi.

La sua identità linguistica è radicata in una storia millenaria, con testimonianze scritte che risalgono al XII secolo, come i Sermoni Subalpini, prediche popolari in volgare conservate nella Biblioteca Nazionale di Torino. Testi che mostrano sorprendenti affinità con il piemontese antico e moderno, tanto da rappresentare una delle prove del suo sviluppo autonomo dal latino, ben prima dell’affermazione dell’italiano.

Non è un dialetto dell’italiano, né del francese, e non può essere considerato una semplice variante locale: come il francese, lo spagnolo o il portoghese, il piemontese discende direttamente dal latino e presenta regole grammaticali, lessico e fonetica propri, strutture codificate e una letteratura plurisecolare.

Dopo l’Unità d’Italia, le lingue regionali furono progressivamente declassate a “dialetti”, in nome dell’unità linguistica nazionale. Ma oggi la linguistica moderna ha ribaltato quel paradigma: conoscere bene la lingua della propria infanzia – anche se minoritaria – favorisce l’apprendimento di altre lingue, oltre a stimolare lo sviluppo cognitivo.

Un’indagine condotta a Montréal su oltre 500 giovani italo-montrealesi trilingue ha dimostrato che chi possedeva una maggiore padronanza della “lingua del focolare” riportava risultati migliori in matematica e nelle lingue straniere.

La vitalità del piemontese si esprime oggi non tanto nella lingua parlata quotidiana, sempre più marginale, quanto nella scrittura. Mentre in passato era parlato da tutti e scritto da pochi, oggi accade il contrario: è cresciuto il numero di scrittori che lo adottano come lingua letteraria.

Il linguista Bernardino Biondelli già nel 1853 classificava le sue varietà in canavesano, monferrino e torinese, quest’ultimo considerato “illustre” perché usato nella capitale sabauda.

Oggi, grazie al lavoro di associazioni culturali, case editrici e centri studi, la lingua piemontese continua a essere oggetto di attenzione, con pubblicazioni, grammatiche e antologie. 

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