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Cronaca
22 Luglio 2025 - 13:20
Foto di repertorio
Un colpo di scena genetico rimette in discussione le basi del primo omicidio attribuito al Mostro di Firenze. Natalino Mele, il bambino di sei anni sopravvissuto alla strage di Signa del 1968, non è il figlio biologico di Stefano Mele, l’uomo condannato per l’assassinio della moglie Barbara Locci e dell’amante Antonio Lo Bianco. A stabilirlo è un test del Dna richiesto dalla Procura, che attribuisce la paternità a Giovanni Vinci, fratello di Francesco e Salvatore, entrambi coinvolti – in fasi diverse – nelle indagini a partire dal 1982.
Giovanni Vinci, mai indagato né sfiorato ufficialmente dalle inchieste, entra ora nel perimetro investigativo. La procura di Firenze, con le pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, punta a colmare un vuoto rimasto inspiegato per oltre cinquant’anni. Il riscontro genetico è stato possibile grazie al lavoro del genetista Ugo Ricci, già noto per il caso Garlasco, e alla riesumazione del corpo di Francesco Vinci.
La scoperta rilancia interrogativi irrisolti: il killer sapeva chi fosse davvero il padre del piccolo? E perché Natalino fu risparmiato? Il bambino, oggi adulto, ha ricevuto da poco la notifica della procura e ha dichiarato di non aver mai conosciuto Giovanni Vinci.
Il test genetico affonda le sue radici in un’indagine del 2018, quando i carabinieri del Ros, su incarico della magistratura, effettuarono in segreto prelievi di Dna. Il primo, su un figlio di Salvatore Vinci, collegò il padre a un panno macchiato di sangue trovato dopo l’omicidio di Vicchio del 1984. Il secondo, su Natalino, ha oggi dato esiti sconvolgenti.
La nuova verità potrebbe ridisegnare la narrazione di tutta la catena di omicidi. L’arma mai ritrovata, usata nel delitto del 1968 e poi nei duplici omicidi tra il 1974 e il 1985, rappresenta uno dei misteri centrali. La sentenza contro Stefano Mele parlava già di una “pistola passata di mano”, aprendo alla possibilità di un gruppo di assassini. Da lì, la pista portò a Pietro Pacciani, Giancarlo Lotti e Mario Vanni. Tutti oggi scomparsi, ma intorno al caso restano vive le polemiche: Paolo Vanni, nipote di Mario, ha infatti chiesto la revisione della condanna. L’istanza è ancora ferma alla Corte d’Appello di Genova.
Il Mostro di Firenze continua così a far parlare di sé, e le nuove indagini potrebbero riscrivere non solo la storia di un delitto, ma l’intera vicenda giudiziaria che ha segnato la cronaca italiana per oltre mezzo secolo.
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