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Retroscena

Dai No Tav ai Pro Pal, la tattica di Aska: ecco come la protesta diventa violenta

Il centro di corso Regina Margherita e la strumentalizzazione delle legittime manifestazioni altrui

Dai No Tav ai Pro Pal, la tattica di Aska: ecco come la protesta diventa violenta

I magistrati torinesi ci hanno provato a più riprese, ma collegamenti organici tra centri sociali e le lotte No Tav in Val di Susa e le recenti proteste Pro Pal, non sono mai emersi. Collegamenti organici no, ma contiguità e strategie comuni sì. Lo scenario è complesso e non si può affermare che la galassia autonoma, il movimento fondato da Alberto Perino e i gruppi che hanno dato vita ai cortei a favore della Palestina siano un’unica realtà. Metterli tutti sullo stesso piano sarebbe un errore grossolano e, per certi versi, creerebbe confusione nell’attribuzione delle responsabilità, specie quelle penali. Quel che è certo è che la il pianeta antagonista e autonomo, pur privo di una regia comune e per un certo periodo dilaniato da divisioni interne, ha sempre approfittato di proteste legittime per esasperare gli animi e cercare lo scontro fisico con “l’autorità costituita”. Insomma creare quella scintilla che possa provocare la famosa, per quanto improbabile, rivoluzione.

Non a caso il Movimento No Tav, almeno agli esordi, era qualcosa di molto diverso da quello che poi è diventato. Radicato profondamente nei territori, protestava perché la valle «sarebbe stata deturpata dai lavori della ferrovia ad alta velocità». Almeno all’inizio, infatti, i No Tav strizzavano l’occhio (e la cosa era stata reciproca) proprio alla Lega. Emblematica, all’epoca, la foto che ritraeva Matteo Salvini con una felpa con la scritta No Tav. Poi le cose sono andate diversamente anche perché gli antagonisti sono riusciti a garantire truppe cammellate di “black bloc” alle manifestazioni contro l’Alta Velocità. Il punto di rottura lo si può individuare nell’estate del 2011, con la fine della “Libera Repubblica della Maddalena”. Maggiore il numero di estremisti alle manifestazioni, ma minore quello dei valsusini ai cortei di Perino. Successivamente si consumava un’altra diaspora, proprio all’interno del centro sociale di corso Regina Margherita, abbandonato da vecchi militanti che avevano deciso di trasferirsi e vivere in Valle, lontani dalle lotte più radicali della città. E se prima la leadership del movimento della sinistra radicale era chiara e nota (Giorgio Rossetto, Marco Rizzo, Dana Lauriola, Uberto Raviola, Guido Marco Borio, per citarne alcuni), oggi la forma “liquida” dell’organizzazione appare pressoché anonima.

La strategia, però, non è mutata: quella di fare proprie le lotte degli altri, esasperandole oltre i limiti della legalità. Così accade per i gruppi Pro Pal che nei cortei hanno constatato la presenza di elementi esterni e organizzati che hanno cercato di diventare protagonisti delle manifestazioni, e in alcuni casi ci sono pienamente riusciti (attacco alle Ogr e a Leonardo). Ma la flessibilità dei nuovi capi è tale che in qualche modo, e contemporaneamente alle proteste pseudo rivoluzionarie, sono riusciti ad intavolare un negoziato con le istituzioni, con il Comune di Torino in modo particolare. Una trattativa a cui il sindaco Lo Russo tiene particolarmente e che è finalizzata, almeno nella prima fase, a riappropriarsi di ciò che è suo (la palazzina rossa). Ma anche una trattativa complessa in cui i patti intermedi, ovviamente da parte antagonista, non vengono quasi mai rispettati. Come andrà a finire è presto per dirlo, certo è che Torino, lo ha riferito tra le righe lo stesso capo della polizia Vittorio Pisani nel corso della sua visita in città, presenta, a differenza di altre città italiane, una grossa e pericolosa anomalia. 

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