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La mappa dei centri sociali

I covi e un’organizzazione “liquida” per antagonisti e anarchici torinesi

Dalla palazzina rossa alla diffusione "liquida" degli squat: mappa e storia dei centri sociali torinesi tra anarchici, estremisti di destra, sgomberi e dialoghi col Comune

I covi e un’organizzazione “liquida”  per antagonisti e anarchici torinesi

Askatasuna, la palazzina rossa in corso Regina Margherita, resta luogo d’incontro irrinunciabile, almeno a sentire gli antagonisti che occupano lo stabile. Anche se di recente la strategia squat di occupazione, osservano in questura, è mutata. «Ci troviamo sempre più spesso di fronte a micro occupazioni. Piccoli centri sociali, diffusi non solo in città, ma anche in provincia, specie in Val di Susa». Una diffusione sul territorio che gli investigatori definiscono «liquida». Più sono, più complesso è il controllo di questo o di quel microcosmo antagonista o insurrezionalista che sia. Inutile negarlo, ne sono convinti alla Digos: dietro la politica dei centri sociali c’è una strategia politica. E così oggi questi luoghi d’incontro e dove si progetta lo scontro, sono anche piccoli e anonimi appartamenti, quasi dei covi (legati alle strutture maggiori), in corso Cirié, in via Frejus, via Monginevro, via Muriaglio, in corso Vercelli e in altri quartieri della città. Strutture senza un nome identificativo e utilizzate anche per ospitare stranieri o clandestini, come se fossero dei bed& breakfast, ma senza il servizio della colazione.

Dopo gli sgomberi del Fenix (Giardini Reali, angolo via Rossini) e del vecchio Asilo Okkupato (in via Alessandria, fautore dello sgombero nel 2019 fu l’allora questore Francesco Messina), oltre alla rossa palazzina storica di corso Regina Margherita che negli anni ha ospitato conferenzieri quali Renato Curcio (Fondatore delle Brigate Rosse) e Oreste Scalzone (Il “padre” di Potere Operaio), resiste “Edera Squat” in via Pianezza, occupato da una cellula di anarchici. Poi c’è lo storico “El Paso” di via Passo Buole, anche questo gestito da insurrezionalisti. Due centri sociali storici della città sono il “Gabrio” di via Millio, occupato da autonomi, e il Barocchio, in strada del Barocchio a Grugliasco, sede di un gruppo di squatter. Anarchici anche a Collegno, nell’ex ospedale psichiatrico in un centro sociale che è stato battezzato “Mexcal”. Al Manituana, in largo Maurizio Vitale, si ritrovano gruppi antagonisti. Autonomi anche a “Casa Murazzi”, in lungo Po Diaz. Ma c’è anche un centro sociale occupato da gruppi di estrema destra, si trova in via Bizzozzero e si chiama “Osa Lingotto”. La storia delle case occupate e dei centri sociali a Torino comincia il 5 dicembre 1987, quando un gruppo di giovani anarchici forzò i lucchetti di un vecchio asilo in via Passo Buole, il Di Robilant. Nasce El Paso, roccaforte dell’antagonismo torinese: nessuna delle giunte che si è alternata negli anni in sala Rossa è poi riuscita nell’impresa di farli sloggiare. Eppure lo sgombero della cascina Marchesa ha dimostrato che, quando c’è la volontà, gli edifici si possono liberare anche senza usare la forza.

L’occupazione delle Fonderie Limone a Moncalieri terminò con duri scontri tra le forze dell’ordine e gli anarchici. Stessa sorte per la Cascina occupata, sempre a Moncalieri. Eppure le giunte lì erano di centrosinistra, colorate di rosso come a Torino. La stessa palazzina del custode della Tesoriera, centrata da due molotov e imbrattata da scritte dagli anarchici per vendicarsi della Marchesa, per due volte è finita nelle mire degli squatter. Anche da lì sono stati sgomberati. Resistono, invece, le altre realtà antagoniste. E se Askatasuna oggi rapresenta il baluardantagnista con il quale il Comune ha iniziat un dialogo difficile, un altri dentro sociale “storico” era rappresentato (prima di essere sgomberato) dall’ Asilo in via Alessandria 12, occupato dal 30 gennaio del 1995 da gruppi di anarchici insurrezionalisti. Lì vissero Edoardo Massari e Maria Rosa Soledad, arrestati perchè sospettati di essere responsabili di alcuni attentati in Val di Susa contro il Tav. Due giovani simbolo della lotta anarchica piemontese, entrambi deceduti in circostanze non chiare per gli anarchici, ma che non lasciano dubbi ha chi ha indagato sulle due morti: entrambi si sono tolti la vita.

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