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L'Intervista

«Sono già all’ergastolo. E ora mi condannano come se le avessi uccise io»

Ottobre 2017, Monica è in macchina con sua figlia, sua nipote e sua sorella gemella. Solo lei è sopravvissuta. Per il giudice, Monica poteva evitare quell'incidente

«Sono già all’ergastolo. E ora mi condannano come se le avessi uccise io»

«Non ho più voglia di vivere. Tanto è come se fossi già morta, quel giorno, sotto quel camion». 27 Ottobre 2017, Monica Lorenzatti è in auto con sua figlia, Gioia, di 9 anni, sua nipote, Ginevra, 17 anni, e sua sorella gemella, Graziella. Per il giudice  Massimo Rigon Monica quel giorno, quell'incidente sull'A22 lo poteva evitare. 
A processo erano finiti la stessa Monica Lorenzatti, residente a Villarbasse, e il camionista Alberto Marchetti. Secondo il giudice, la responsabilità dell’incidente è da condividere tra i due. Da un lato, Marchetti avrebbe causato l’impatto con una manovra «imprudente»: una brusca frenata che ha ridotto la velocità del camion da 90 a 7 km/h in pochi secondi, senza una giustificazione tecnica né una situazione di emergenza.


Dall’altro, Lorenzatti – che viaggiava a circa 90 km/h a una distanza di 30 metri dal mezzo pesante – avrebbe avuto margine per reagire. Secondo la ricostruzione accolta dal tribunale, la donna avrebbe potuto rallentare, frenare o cambiare corsia, disponendo di circa 70 metri utili per manovrare e scongiurare l’impatto. 
Per entrambi gli imputati è stata disposta una condanna a due anni di reclusione con pena sospesa.
«Mi sono accorta che il camion stava rallentando, ho cercato di sorpassarlo, ma stava arrivando una macchina...da come l'hanno dipinta i giudici, mi hanno praticamente dato la colpa dell'incidente. E' come se mi avessero detto che sono stata io, con le mie azioni, a uccidere mia figlia, mia nipote e mia sorella». Ieri sono state rese pubbliche le motivazioni e la condanna della donna. Due anni a pena sospesa «condanna depositata con un mese di ritardo. Un aspetto poco rispettoso per chi, con ansia, aspettava quelle motivazioni. E mi ha ferito tanto anche il fatto che il giudice non mi abbia creduto quando dice che non e’ verosimile che io mi sia accorta del rallentamento» continua la donna, mentre ripete che si è trattato di un evento imprevedibile. Monica ricorda quegli ultimi attimi «mi girai verso mia sorella, ricordo di aver detto: ma questo qui - riferito al camionista - cosa diavolo sta facendo?». Poi lo schianto.
E il buio. Perchè dopo quell'attimo Monica non ricorda più nulla. Sua figlia e la nipote morirono sul colpo. Graziella si spense 20 mesi dopo in ospedale. «Il camion non fu mai sequestrato, nessuna perizia possibile da parte dei miei periti. Io farò appello. Non ce la faccio più e cerco di andare avanti per mia madre e mio marito. Continuerò a lottare, per la giustizia, per la verità. Non per la condanna, a me della pena non frega nulla. Ho perso tutto quel giorno, non c'è un fine pena per quello che ho passato. E' come stare all'ergastolo, da quel 27 ottobre. Rileggere quelle parole, oggi, sui quotidiani...è stato come se me le avessero ammazzate di nuovo».

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