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Il caso

Aumentano a 9 i decessi per virus West Nile in Italia nel 2025: focus su Lazio e Campania

Il picco dei casi previsto dopo Ferragosto, ma gli esperti invitano alla calma e a non sovraccaricare i pronto soccorso

Aumentano a 9 i decessi per virus West Nile in Italia nel 2025: focus su Lazio e Campania

Sono salite a nove le persone decedute in Italia dall’inizio dell’anno a causa dell’infezione da virus West Nile. L’ultimo decesso registrato riguarda un uomo di 76 anni, in dialisi, morto a Caserta, in Campania. L’anziano, originario della provincia di Salerno, si trovava in una struttura sanitaria a Grazzanise. Così, il totale dei decessi nel 2025 si distribuisce con un caso in Piemonte, tre nel Lazio e cinque nella regione Campania.

Il picco dei contagi dopo Ferragosto

Antonello Maruotti, professore ordinario di Statistica all’università Lumsa di Roma, ha spiegato che i casi di West Nile tendono a raggiungere un picco subito dopo metà agosto, per poi diminuire rapidamente. In un’intervista video pubblicata su rainews.it, ha condiviso dati e osservazioni raccolti dall’ateneo, che monitora la situazione a livello nazionale da anni. “Non si tratta di un fenomeno nuovo,” ha ricordato Maruotti, “basti pensare che nel 2018 furono registrati oltre 550 casi, mentre l’anno scorso siamo arrivati poco oltre i 460.”

Un cambiamento significativo però è emerso quest’anno: “In passato i casi erano principalmente concentrati in Emilia Romagna, Veneto e alcune aree della Pianura Padana. Nel 2025 invece, la maggior parte dei casi si registra nella provincia di Latina, in Lazio, e in Campania, una novità rispetto agli anni precedenti.” Lo statistico prevede un ulteriore aumento dei contagi, seguendo la tendenza tipica che vede la curva dei casi salire da metà luglio fino al picco tra la seconda e terza settimana di agosto, seguita da un rapido calo.

Bassetti: “Evitiamo di sovraccaricare i pronto soccorso”

L’infettivologo Matteo Bassetti, primario dell’Irccs Policlinico San Martino di Genova, non ritiene che ci sia un reale incremento rispetto alle stagioni passate, ma sottolinea come quest’anno la diffusione interessi nuove aree, in particolare Lazio e Campania. “Non c’è bisogno di allarmarsi,” ha detto, “ma è importante fornire indicazioni chiare alla popolazione.”

Bassetti invita a non rivolgersi ai pronto soccorso al primo segno di febbre, per non aggravare la pressione su strutture già impegnate. “Chi ha la febbre non deve andare in ospedale automaticamente,” ha ribadito su social, “ma chi è stato punto da zanzare nelle zone a rischio e presenta, oltre alla febbre, sintomi neurologici come mal di testa intenso, rigidità del collo, confusione mentale, paralisi facciale o tremori, deve invece rivolgersi subito a un medico.”

Negli altri casi, spiega, non è necessario affrettarsi al pronto soccorso, evitando così inutili affollamenti.

Rezza: “Una puntura non significa infezione certa”

Il professor Gianni Rezza, ex direttore della Prevenzione del Ministero della Salute e ora docente all’università Vita-Salute San Raffaele, ha precisato che anche nelle zone dove il virus circola, una singola puntura di zanzara non implica automaticamente l’infezione. “Il rischio varia molto in base alla geografia e all’età,” ha scritto in un post su Facebook. “Gli anziani sono i più vulnerabili.”

Rezza sottolinea che la probabilità di contagio aumenta in relazione al numero di punture, visto che solo una piccola percentuale di zanzare è effettivamente portatrice del virus.

Quanto alla gravità della malattia, i dati del Lazio, regione che sta monitorando attentamente la situazione, mostrano che su 28 casi individuati tra Latina e Anzio, 17 hanno manifestato forme neuroinvasive. Questo non implica necessariamente condizioni gravi: secondo studi, su 100 contagiati circa 20 mostrano sintomi lievi, mentre meno di uno sviluppa encefalite grave.

La sorveglianza tende a registrare soprattutto i casi sintomatici più evidenti, lasciando in parte inosservati quelli asintomatici o con sintomi lievi. Lo scorso anno in Italia oltre il 50% dei casi confermati aveva sintomi neurologici.

Raramente la neuroinvasività porta a condizioni critiche

L’esperienza italiana conferma che, anche tra i casi neuroinvasivi, sono pochi quelli che richiedono terapia intensiva o evolvono in condizioni molto gravi. Attualmente, in Lazio, vi sono un paio di pazienti in condizioni critiche, oltre alla persona anziana deceduta. La probabilità di sviluppare una forma grave cresce con l’età e interessa soprattutto gli anziani molto avanzati, sebbene rari casi possano verificarsi anche tra giovani o persone immunodepresse.

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