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L'INTERVISTA
10 Agosto 2025 - 11:29
Augusta Montaruli
Augusta Montaruli, deputata di Fratelli d’Italia, cresciuta a pane e militanza, amata dai cittadini comuni - a cui risponde puntualmente al telefono - e altrettanto odiata sul web dove spesso è bersaglio di insulti e cattiveria di numerosi haters. E presto, sarà anche una mamma.
Partiamo dal principio, quando tutto ha inizio. Lei cresce in Borgo San Paolo, quartiere che ha una lunga storia “rossa”. Cosa l’ha spinta a rendere la sua vita una battaglia politica, peraltro di tutt’altra ideologia rispetto all’ambiente della sua adolescenza?
«Un giorno chiesi alla mia professoressa di parlarmi delle Foibe. Lei rise. Io abitavo vicino alle case popolari, mia nonna mi raccomandava di portare sempre rispetto alle persone che vivevano in quegli appartamenti, utilizzati anche per gli esuli. Dopo la risposta della mia insegnante, mi ha pervaso un senso di ribellione per chi aveva voglia di manipolare la verità. Nel 1999, il giorno del mio compleanno, mi iscrissi a AN (Alleanza Nazionale): per me, all’epoca, era l’unico partito che non mentiva sul dramma degli esuli. Capii velocemente che, a Torino, dire a qualcuno che votavi a destra aveva una conseguenza, quella di attaccarsi addosso una narrazione denigratoria. Un po’ come accade ora. Quel fuoco, nato dalla ribellione a una professoressa, è la stessa fiamma che mi spinge oggi in ciò che faccio».
Lei è spesso in città, usuale vederla in luoghi popolari, mercati e posti frequentati da persone comuni...
«C’è chi mi ha criticato perchè parlo molto con le persone comuni. Io credo che siano proprio quelle, invece, le persone più inascoltate. Ecco perchè a loro destino maggiormente la mia attenzione. Il mio numero lo hanno tutti, difficilmente metto un filtro come una segreteria. E rispondo, perchè è educazione ma soprattutto perchè è giusto verso le persone che mi hanno votato - e anche verso quelle che non lo hanno fatto. Poi, che non sempre le mie risposte piacciono è un’altra cosa. Ma sono sincere, sempre».
Tanto amore nelle piazze, molti nemici sul web. Una delle donne più attaccate online, tra cattiverie e insulti anche sui social. In un’epoca di haters e leoni da tastiera, come si sopravvive senza soccombere?
«Quando penso al fenomeno dell’odio sul web, il mio pensiero va alle persone più fragili: nell’emotività, nel carattere, e soprattutto nelle relazioni autentiche, quelle umane, fatte di carne e ossa. Io, dovessi dare un consiglio alle persone che si sentono in quelle trappole, è di non rinunciare ai social, è un loro diritto usarli, ma di emergere nella concretezza della vita quotidiana. Con il lavoro, lo studio, la costruzione dei rapporti autentici in quella che è la vita reale. Una riflessione: se qualcuno ha del tempo da perdere su una piattaforma online per sputare odio, non crede nel valore della vita. E soprattutto non qualifica la propria vita. La spreca. Al contempo, ritengo che sui social vada fatta un’operazione legislativa: chi dice determinate cose, deve assurmene le responsavilità. Molto spesso la difficoltà sta nell’andare a individuare questi haters. La diffamazione online spesso non è fine a se stessa, ma si unisce all’odio di un branco, diventa quella che è una lapidazione. Non a caso tanti tra i giovanissimi ne pagano le conseguenze».
Che, a volte, sono estreme
«Esatto, il suicidio. Un tema che ho portato all’attenzione della Commissione Affari Sociali in discussione in questi mesi con una proposta di legge».
Femminismo: perchè le battaglie delle donne per le donne sono percepite come “affari di Sinistra”?
«Credo che la parola “femminismo” sia stata talmente abusata da essere diventata la culla di un recinto ideologico. Tale per cui se si vede una donna, dai pensieri opposti, messa in una condizione di lapidazione, come dicevamo prima, sostenerla potrebbe sembrare di venir meno a questo recinto auto-costruito a sinistra. Ma credo anche che questa “chiusura” non ha mai preso atto del fatto che ci sia una forza, intrinseca, all’interno delle donne, che non è nè di destra e nemmeno di sinistra. E non fa i conti sul fatto che gli uomini non avranno l’utero, ma possono avere il cervello. Femminismo, dovremmo andare oltre alla connotazione costruita a sinistra, dritti alla sostanza. Ad esempio, noi ci battiamo per le questioni legate alla sicurezza. E non significa, forse, proprio battagliare perchè la donna sia indipendente, uscire e tornare a casa da sola, senza timore? O ancora, dare un’alternativa, un sostegno ecomomico a quelle donne che sono in gravidanza ma in difficoltà economica. Questo è affermare il loro diritto a poter scegliere. E ancora, combattere, come abbiamo fatto in Parlamento, l’utero in affitto: è impedire che il corpo della donna sia oggetto di mercificazione. E infine, preferire alle “quote rosa” i processi interni di crescita, in ogni campo lavorativo: è privilegiare la meritocrazia oggettiva a quella del genere. Ci sono battaglie per le donne che il recinto ideologico della sinistra non rappresenta. Perchè quelle donne sono dalla parte opposta».
Tra poco sarà mamma. Quali saranno i primi valori che cercherà di trasmettere al suo bambino?
«Parto dal presupposto che noi donne abbiamo un privilegio, custodire una vita. Nove mesi, solo nostri. Ma dobbiamo avere la consapevolezza che questa vita l’abbiamo creata in due. In questa società la figura paterna tante volte è considerata sacrificabile. Per me, è un valore. Che voglio mio figlio abbia ben presente, a maggior ragione perchè aspetto un maschio. E un giorno sarà padre anche lui».
Maternità e politica...
«Eh, non sarà facile, ci vorrà molta organizzazione. Ma la mia vita è fondata sull’organizzazione ancora prima di questo bambino».
Lei è nata da due genitori sordi e molte delle sue iniziative sono legate all’accessibilità. Ma a che punto siamo, in Piemonte?
«Inclusione, non come assistenza ma come cultura dell’indipendenza della persona con disabilità. Si, sono cresciuta con due genitori sordi al cento per cento e ricordo che da bambina accompagnavo mia madre e mio padre tra visite mediche e impegni. Ecco, ricordo che quando avevo 18 anni non vedevo l’ora di prendere la patente per accompagnare mio padre in ospedale, evitargli le ambulanze, di cui aveva terrore. Mancava la cultura, appunto, intorno a lui. Questa è inclusione, rendere le persone con difficoltà indipendenti, dove la disabilità non è un ostacolo per vivere la propria vita. Il Piemonte su questo sta facendo un ottimo lavoro, con l’assessore Maurizio Marrone. Un approccio che è quasi un modello, vedi Scelta Sociale, un’iniziativa che tutela le persone non autosufficienti e le loro famiglie».
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