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IL REPORTAGE
12 Agosto 2025 - 08:44
C’è un laghetto, ci sono gli alberi che vi si specchiano dentro, c’è perfino la vecchia monorotaia, quella dell’Alweg, costruita per l’Esposizione Internazionale del Lavoro del 1961. Doveva essere modernità. E invece, oggi, è solo un rudere. Alle spalle, quella bruttura abbandonata, Palazzo del Lavoro. Davanti, uno dei principali ingressi alla città. E in mezzo: i pusher. A grappoli. Il Parco Italia ’61, 106mila metri quadrati tra via Ventimiglia, largo Millefonti e corso Unità d’Italia, da settimane è diventato un punto di stazionamento fisso per spacciatori e tossicodipendenti. All’ombra degli alberi, a gruppi. Le bici e i monopattini in un angolo.
Mezzi “green”, per muoversi senza inquinare. Sono tutti stranieri. Chi li segue, nota che partono da piazza Bengasi: lì comprano, mettono in bocca le dosi – due, tre palline – e poi si sistemano sulle panchine. Qualcuno sta sulla scala della monorotaia: gradini rotti, sporchi, coperti di escrementi di piccione. Da lassù si controlla tutto. Uno sguardo verso via Ventimiglia, l’altro verso corso Unità. C’è anche chi tiene d’occhio l’ingresso vicino al Palavela, accanto all’area giochi per bambini. Altro gruppo fisso. Un uomo in maglietta chiara invece gira in tondo, in loop su un monopattino, come un criceto impazzito sulla ruota.
Poi c’è quello a terra. Sdraiato, immobile. Chi passa potrebbe pensare il peggio. Un testimonial del prodotto che si può comprare. Overdose? No, solo marketing, forse. Strafatto nell’erba, all’ombra. Il paragone, a chi l’ha visto, viene spontaneo: sembra la Gondrand. L’ex fabbrica in Barriera di Milano che tra poco verrà abbattuta. Anche lì si aggiravano tossici, volti consumati, corpi in bilico, passi incerti. Sembravano usciti da un videogioco dei primi anni Duemila, di quelli con gli zombie che camminano storti e fanno versi. Che si prendono, lì? È la domanda che ci si pone guardando una ragazza, molto bella, nonostante la pelle a chiazze giallastre, andatura incerta.
Canotta larga, pantaloncini corti. Si avvicina, si ferma, lo scambio è rapido. Ma non invisibile. Lo vedono anche le signore anziane sedute poco lontano, su un’altra panchina. «Che schifo», dice una. «Che dispiacere», risponde l’altra.
E lei? Non si allontana. Si siede lì. Pochi metri dai pusher, spalle a loro. Panchina in faccia alla strada. Poi procede. Sei e mezza del pomeriggio, eppure sembra l’alba. Quella dei morti viventi.
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