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La ricorrenza
13 Agosto 2025 - 15:05
È passato quasi un secolo, ma il ricordo di quella tragica giornata del 13 agosto 1935 continua a vivere nella memoria collettiva di Ovada e dell'intero Piemonte. Novant'anni fa, il crollo della diga di Molare trasformò una valle rigogliosa in un teatro di morte e distruzione, portandosi via 115 vite umane e lasciando una ferita profonda nel territorio alessandrino.
UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA
La diga di Molare non era solo una struttura di contenimento delle acque: era parte di un ambizioso progetto per la produzione di energia idroelettrica lungo il fiume Orba. Costruita negli anni del boom industriale, rappresentava il simbolo del progresso e della modernità che caratterizzavano l'Italia del primo Novecento.
Ma dietro quell'imponente struttura di cemento e acciaio si nascondevano compromessi e scelte discutibili. Come ha ricordato di recente l'onorevole Federico Fornaro alla Camera dei Deputati, «la bramosia di potere e di soldi non può prescindere dalla sicurezza». Parole che, pronunciate novant'anni dopo, risuonano con una forza particolare e una drammatica attualità.
Quando arrivò il 13 agosto 1935, si capiva che non sarebbe stato un giorno qualunque: infatti, un'insolita ondata di maltempo si abbatté sulla valle, mettendo a dura prova le strutture di contenimento. La natura, con la sua forza implacabile, stava per presentare il conto di anni di sottovalutazione del rischio.
Quando alla fine la diga cedette, l'acqua si liberò con una violenza inimmaginabile. La piena, devastante, travolse tutto ciò che incontrava sul suo percorso: gli sbarramenti di compensazione costruiti a monte dell'abitato, il ponte di Molare, le abitazioni che sorgevano nei dintorni del corso d'acqua. La furia dell'acqua non si fermò una volta raggiunto il paese, ma proseguì inarrestabile verso Ovada, seminando ancora morte e distruzione. Tra le 115 vittime di quella tragedia, intere famiglie furono spazzate via in pochi istanti, lasciando cicatrici profonde in una comunità che faticò a riprendersi dal trauma.
Tra i pochi sopravvissuti di quella giornata maledetta c'è Luigi Gollo, che all'epoca aveva appena tre anni. La sua storia è emblematica del dramma che si consumò in quelle ore: messo in salvo insieme alla madre e alla sorella grazie al coraggio del padre, dovette poi fare i conti con la perdita dello stesso genitore e dei nonni, inghiottiti dalla furia delle acque.
Oggi, quasi centenario, Gollo rappresenta la memoria vivente di quella tragedia. La sua testimonianza, condivisa durante le commemorazioni, è un ponte tra il passato e il presente, un monito per le generazioni future.
IL RICORDO DELLA TRAGEDIA NON SI SPEGNE
Quest'anno, nel novantesimo anniversario del disastro, le autorità locali hanno voluto rendere omaggio alle vittime con una serie di iniziative commemorative. Nel cimitero di Ovada si è tenuta la cerimonia ufficiale con la lettura dei nomi delle 115 vittime davanti alla lapide che ricorda il disastro.
«È doveroso mantenere la memoria di un evento che ha segnato tragicamente la storia della città — ha sottolineato il sindaco di Ovada Gian Franco Comaschi — Nello stesso tempo si tratta di un argomento ancora di grande attualità».
Le parole del primo cittadino trovano eco nelle dichiarazioni dell'assessore alla cultura Sabrina Caneva: «Quello che è accaduto 90 anni fa è una storia che riguarda tutti noi, una storia di grande attualità».
Le commemorazioni del novantesimo anniversario non si sono limitate alla cerimonia ufficiale. Il programma degli eventi ha incluso:
Ogni anno, quando si commemora il 13 agosto 1935, non si celebra solo il ricordo di 115 vite spezzate. Si rinnova un impegno collettivo verso la sicurezza, la trasparenza e il rispetto per la forza della natura. Perché la vera vittoria contro tragedie come quella di Molare sta nella prevenzione e nella responsabilità condivisa.
La valle dell'Orba ha saputo rinascere dalle sue ceneri, ma il ricordo di quella terribile giornata continua a vigilare come un guardiano silenzioso, pronto a ricordare a chiunque che la sicurezza non può mai essere sacrificata sull'altare del profitto o della negligenza.
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