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L'editoriale
20 Agosto 2025 - 05:00
Tommaso Montanari
Tomaso Montanari è il rettore-profeta di un’Italia che non esiste: quella abitata da fascisti dietro ogni angolo, da camicie nere nelle mense universitarie e da reduci del Ventennio pronti a occupare La7. Non importa che siamo nel 2025: lui continua a vivere come se il 25 luglio fosse l’altro ieri e come se ogni talk show fosse una rievocazione di Salò. A La7, parlando di guerra, ha offerto uno dei suoi numeri più spassosi: “la destra vuole solo vincere e punire”. Comodissimo: cerchi di ridurre l’avversario a fumetto, poi lo abbatti con indignazione prêt-à-porter. Paolo Mieli lo ha inchiodato: “Quale guerra è mai finita senza la vittoria di qualcuno?”. Risultato? Montanari si è rifugiato nella solita indignazione, senza un dato storico a sostegno. Slogan contro fatti, anatemi contro realtà. La sua ossessione è l’etichetta: Fratelli d’Italia? Fascisti. Chi non applaude? Colluso. Chi discute di deterrenza o riarmo? Complice di Mussolini redivivo. È un antifascismo ciarliero e ciarlatano ridotto a tic verbale, più vicino a una patologica mania ossessiva che a una riflessione politica. Dove tu vedi un dibattito europeo, lui scorge la Decima Mas. Dove tu vedi un problema di sicurezza, lui grida al ritorno del Duce.
Chi non condivide? Marchiato. E quando arrivano critiche, ecco gli esposti e le minacce legali: il paladino della libertà che diventa censore appena qualcuno osa sfidarlo. E non dimentichiamo la gaffe dei rifugiati pakistani in mensa: comunicazioni contraddittorie, scaricabarile, polemiche infinite. Un’università che dovrebbe incarnare l’internazionalità ridotta a terreno di prove generali per il suo attivismo. Sui social Montanari si diverte a fare il Che Guevara digitale. L’università esce da X per protesta contro Musk: gesto eroico quanto inutile, che non cambia nulla nella vita di studenti e ricercatori. Per il mancato rinnovo dell’incarico come presidente della Fondazione Museo Archivio Richard Ginori, Montanari la prende malissimo in nome evidentemente di un’ idea proprietaria delle istituzioni culturali ricevute per diritto divino, la reazione è collerica, alla sua maniera: “Un puro atto squadrista di esercizio del potere per il potere. Non per fare, ma per togliere. Per distruggere. Una violenza assurda, … “ . Quando è morto Berlusconi, ha dato il meglio: commenti chiusi, critiche bloccate. Libertà di parola? Certo, ma solo la sua. Il paradosso è che così facendo Montanari svuota l’antifascismo stesso, trasformandolo in barzelletta da talk show. Ogni volta che apre bocca sembra un venditore porta a porta col campionario usurato: “Buongiorno, vuole un po’ di antifascismo fresco? È in offerta speciale!”. Il risultato è una caricatura: un ridicolo Savonarola in giacca e cravatta che predica dal pulpito televisivo, ripetendo “fascismo, fascismo, fascismo” olé! fino a trasformarlo in rumore di fondo. Montanari non discute: predica. Non convince: accusa. Non costruisce: scomunica. Alla fine rimane solo il vuoto sonoro di un disco rotto. E l’università, affannata dalla sua smania di protagonismo, resta senza aria: più sermoni, meno pluralità, più diktat ideologici. Olé!
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