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Il caso

La Procura di Roma apre un fascicolo sul caso "Mia Moglie": possibile un maxi processo

Già 2.800 denunce alla Polizia Postale: "Potrebbe diventare il più grande processo italiano sulla violenza digitale"

mia moglie giudiziaria

Gli iscritti sono accusati di violazione della privacy, diffamazione e diffusione illecita di immagini intime

La Procura di Roma ha aperto un fascicolo sul caso del gruppo Facebook "Mia moglie ❤️❤️❤️", attivo dal 2019 e chiuso il 20 agosto da Meta dopo una valanga di segnalazioni. All’interno, oltre 32mila iscritti condividevano foto private di donne (mogli e compagne, ma anche figlie o sconosciute) prevalentemente inconsapevoli, corredate da commenti sessisti, volgari e umilianti.

Le indagini, coordinate dalla Polizia Postale, hanno già raccolto circa 2.800 denunce. Tra gli iscritti, centinaia di persone residenti in Veneto e Friuli Venezia Giulia, ora accusate di violazione della privacy, diffamazione e diffusione illecita di immagini intime, reati puniti fino a sei anni di carcere e multe fino a 15mila euro. Gli inquirenti non escludono l’ipotesi di un maxi processo.

Prima della chiusura da parte di Meta per "violazione delle policy contro lo sfruttamento sessuale degli adulti", molti utenti hanno salvato i contenuti per ripubblicarli, promettendo di trasferirsi su Telegram e WhatsApp con "nuovi spazi sicuri". Le indagini, infatti, si estendono anche a queste piattaforme, più difficili da monitorare.

Il materiale raccolto mostra commenti degradanti come "Mettile le mani tra le cosce vedrai che si sveglia" o "Cosa fareste a mia moglie?", accompagnati da descrizioni fisiche delle donne come fossero merce di scambio. Secondo la Procura, queste condotte configurano un sistema strutturato di umiliazione e sfruttamento.

Il caso è arrivato anche alla stampa internazionale, e questa mattina ha aperto il Financial TimesSecondo quanto dichiarato alla testata dall’avvocata esperta di cybercrime Marisa Marraffinoogni utente che ha condiviso, commentato o incitato rischia un procedimento penale. La diffusione di immagini intime senza consenso, infatti, è un reato equiparabile al revenge porn. Per l'avvocata, questo potrebbe diventare il più grande caso italiano legato alla violenza digitale, con la possibilità di "un maxi processo che coinvolgerebbe migliaia di famiglie".

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