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Il caso

"Ho scoperto di essere nel gruppo 'Mia Moglie', mi sento spezzata in due": il gruppo dello stupro digitale è chiuso, ma i danni restano

"Abbiamo 2 figli e 10 anni di matrimonio alle spalle". Anche nel tuo quartiere, 50 persone erano iscritte al gruppo

"Ho scoperto di essere nel gruppo 'Mia Moglie', mi sento spezzata in due": il gruppo dello stupro digitale è chiuso, ma i danni restano

Il commento di una vittima del gruppo "Mia Moglie"

"Oggi ho scoperto di essere nel gruppo 'mia moglie'. Non sapendone assolutamente nulla. Lui si è giustificato dicendo che fosse soltanto un gioco... Abbiamo 2 figli...e 10 anni di matrimonio alle spalle. Foto nostre, private di momenti di vita quotidiana. Mi sento spezzata in due". Queste sono le parole, riportate in modo anonimo sui social dall'attivista Kara Valentina Mazara, di una donna che ha scoperto di essere vittima della condivisione di foto non consensuali. La rivelazione è arrivata in seguito alla denuncia mediatica del gruppo "Mia moglie ❤️❤️❤️", da parte dell’attivista Carolina Capria e dell’organizzazione "No justice no peace".

Sono tantissime le testimonianze simili, di persone la cui realtà è cambiata completamente da un giorno all'altro. Perché anche persone insospettabili, che fanno parte della nostra vita quotidiana possono essere iscritte a un gruppo simile. Federico Ostuni, attivo nella scena di attivismo torinese, ha pubblicato sulla sua pagina Instagram una serie di statistiche che mettono in luce l'estensione del fenomeno: "Il gruppo contava circa 31mila iscritti. In italia la popolazione maschile è di circa 28,8 milioni (senza neppure contare anziani senza un telefono e bambini, n.d.r.)Il rapporto è 1 ogni 930, circa. Quindi nella tua palestra 1 era iscritto al gruppo, nella tua università 7 erano iscritti al gruppo, al tuo ultimo concerto allo stadio 30 erano iscritti al gruppo, nel tuo quartiere 50 erano iscritti al gruppo".

L'insospettabilità degli iscritti è confermata anche dall'attivista genovese Biancamaria Furci, che ha deciso di cercare gli uomini della sua città che consumavano o postavano il materiale nella community. "Ho cercato solo quelli iscritti prima di ieri - racconta su Instagram - visto che molte persone si stanno iscrivendo per poter commentare con indignazione. E chi ci ho trovato? Poliziotti. Militari. Medici. Dirigenti sanitari. Avvocati. Insegnanti. Docenti universitari. Diteci ancora che dobbiamo sentirci al sicuro a denunciare, a farci prendere in cura, a girare per strada, a studiare".

Sì, perché solo nella giornata di martedì, quando è avvenuta la denuncia, oltre 270 persone si sono inserite nel gruppo per esprimere la propria indignazione. La risposta dei membri è stata quella di nascondere il materiale, eliminandolo, o accusare chi li criticava di bigottismo. E poi, come ultima spiaggia, si sono spostati su altri canali. 

A riguardo, l'attivista Giovanna Conte di "DonnexStrada" scrive: "La realtà è che quel gruppo era ed è così frequentato e numeroso per l'idea che vende. L'idea che di una donna e del suo corpo si possa sempre e comunque fruire, che sia a disposizione, sullo scaffale di un supermercato come il prodotto che è. Il prodotto che per sua natura dimentica i volti, le volontà, il danno e la violenza. Perché su qualcosa che non si vede come essere umano non si piange, non ci si indigna, non si pensa. L'idea che va a ruba è la stessa in forza della quale non c'è un soggetto leso perché non c'è nessun soggetto, punto".

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