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Il fatto

Il corpo di Luca Sinigaglia non verrà recuperato: recuperi impossibili in alta montagna

Dalle Alpi al Nanga Parbat, le difficoltà logistiche, il gelo e la sicurezza rendono spesso impossibile riportare a valle gli alpinisti morti

Il corpo di Luca Sinigaglia non verrà recuperato: recuperi impossibili in alta montagna

Il corpo di Luca Sinigaglia, alpinista milanese, non sarà recuperato. Luca è morto sul Pobeda Peak, una vetta di 7.439 metri tra Kirghizistan e Cina, mentre cercava di raggiungere un’amica bloccata, che con ogni probabilità non ce l’ha fatta. I soccorritori erano pronti a intervenire, ma l’autorizzazione del governo kirghiso è stata improvvisamente revocata, senza spiegazioni: un comportamento purtroppo comune in quelle zone. La salma rimarrà lassù, conservata dal ghiaccio per decenni, come accade a centinaia di alpinisti che non tornano mai dalle grandi altitudini.

Il fatto non è un’eccezione, e va spiegato: in alta montagna, il recupero dei corpi è spesso impossibile non solo per ragioni economiche, ma anche per logistica, geopolitica e sicurezza dei soccorritori. Un corpo congelato può superare i cento chili e richiede almeno otto persone per essere trasportato. Oltre i 7.000 metri, ogni sforzo aggiuntivo può diventare una minaccia diretta per la vita di chi interviene.

Un caso più vicino nel tempo è quello di un altro alpinista lombardo, ucciso dal crollo di un seracco sul Mont Blanc du Tacul, vetta francese del Monte Bianco a 4.240 metri. Il compagno, rimasto ferito, è stato salvato in elicottero. In questo caso, il recupero è stato possibile grazie alla quota più bassa e a condizioni meteorologiche favorevoli, ma già a 4.000 metri, con ghiacciai instabili e seracchi pericolanti, portare soccorso resta tutt’altro che scontato.

Ci sono poi casi di altitudini estreme dove il recupero è tecnicamente impossibile. Daniele Nardi e Tom Ballard, italiani e inglesi, hanno perso la vita sul Nanga Parbat (8.126 metri) nel febbraio 2019. I loro corpi sono stati individuati tramite droni, elicotteri e altri alpinisti, ma giacciono in una zona troppo pericolosa per qualsiasi tentativo di recupero. Anche Reinhold Messner aveva sconsigliato Nardi di affrontare quella via. Le famiglie degli alpinisti hanno deciso di rispettare la montagna, rinunciando a riportare i corpi a valle, preferendo che restassero parte del Nanga Parbat.

A quelle altitudini vige una legge non scritta, crudele ma necessaria: spesso non è possibile aiutare un compagno, anche se ancora vivo, perché ogni tentativo può mettere a rischio più vite. Sull’Everest, ad esempio, è accaduto spesso che alpinisti agonizzanti siano stati superati da chi saliva o scendeva, senza che nessuno potesse intervenire. Non si tratta di mancanza di pietà: salvare uno significava spesso condannare due o più persone.

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