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Mappe green: la sfida (e l’urgenza) di un turismo sostenibile

Crescono in Italia le destinazioni certificate secondo i protocolli internazionali: il turismo del futuro punta su governance, ambiente e qualità della vita

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Riformare il turismo non significa solo ridurre le emissioni. Significa ripensare un intero sistema economico e culturale che, da un lato, muove miliardi e alimenta le economie locali, e dall’altro consuma risorse, altera ecosistemi, genera squilibri sociali. Secondo alcune stime, l’impatto del turismo sul clima globale rappresenta circa l’8% delle emissioni totali, un valore comparabile a quello dell’intera Unione europea.

Eppure, a differenza di altri settori industriali, il turismo può essere trasformato anche dalle scelte individuali: cosa visitiamo, come ci muoviamo, quanto restiamo nei luoghi, quale comportamento adottiamo. È in questo contesto che le certificazioni di sostenibilità diventano uno strumento chiave per indirizzare non solo le politiche locali ma anche le decisioni dei turisti.

Tra i riferimenti più autorevoli a livello internazionale c’è il Global Sustainable Tourism Council (GSTC), nato nel 2010 sotto l’egida delle Nazioni Unite. A promuoverlo in Italia è Etifor, spin-off dell’Università di Padova, che ha avviato un percorso di certificazione pensato su misura per il settore turistico. «Troppe certificazioni sono adattamenti di modelli pensati per altri ambiti – spiega Diego Gallo, direttore dell’area turismo e sviluppo locale di Etifor – mentre il GSTC è specifico, strutturato, completo».
A oggi, sono 15 le destinazioni italiane certificate con il protocollo delle Nazioni Unite, tra cui Valsugana, Trento, Rovereto, Siena, Montepulciano e il sentiero della Via degli Dei. L’obiettivo è quello di offrire ai visitatori gli strumenti per contribuire attivamente al benessere dei territori e ridurre l’impatto del proprio passaggio.

Il turismo sostenibile, secondo Gallo, non è solo efficienza energetica e raccolta differenziata: «Serve una visione ampia, capace di governare la pressione turistica sul lungo periodo. Le destinazioni devono diventare capaci di gestire i flussi, non solo di attrarli». Il protocollo prevede la figura del destination manager, con il compito di bilanciare gli interessi di tutti gli attori in campo: imprese, istituzioni, residenti, visitatori. È una rivoluzione di approccio: «Arte, paesaggio e cultura non sono solo strumenti di marketing, ma beni comuni da tutelare, al pari di risorse ambientali», sottolinea Gallo.

Accanto al GSTC, un altro modello internazionale è quello di EarthCheck, già applicato con successo in Scozia, Irlanda e ora anche a Zurigo. La città svizzera ha ottenuto la certificazione dopo due anni di valutazione su 76 indicatori quantitativi e 366 criteri qualitativi, che comprendono non solo l’impatto ambientale, ma anche la qualità della vita dei residenti e l’efficienza del trasporto pubblico.

In Italia, EarthCheck è rappresentata dal Terra Institute, dove lavora Renata Rizzo, ex direttrice marketing di una compagnia di crociere. Secondo Rizzo, «il vero nodo da affrontare è la governance: senza un approccio strategico condiviso, anche i migliori progetti restano iniziative isolate e inefficaci».

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