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La sentenza
10 Ottobre 2025 - 09:45
Si chiude con una condanna a sei anni di carcere il processo di primo grado a carico dell’ultimo imputato della banda che nel 2017 aveva rapinato la casa di un pusher a Torino, simulando una perquisizione. L’uomo, difeso dall’avvocata Gaia Li Causi, è stato l’unico del gruppo a scegliere il rito ordinario. La procura, con i pm Chiara Maina e Chiara Canepa, aveva chiesto cinque anni. Il tribunale ha scelto una linea più severa. I suoi complici avevano già definito le proprie posizioni: uno con patteggiamento, gli altri due con rito abbreviato e pene fino a cinque anni. I fatti risalgono a settembre 2017. Quattro uomini avevano fatto irruzione in un alloggio nella zona nord della città, presentandosi come carabinieri. Indossavano distintivi falsi, una finta pistola, manette e addirittura un manganello con borchie, acquistato in un sexy shop. Simulando un controllo, erano riusciti a sottrarre 1,7 chili di marijuana, contanti e un orologio. A inchiodarli sono state le intercettazioni telefoniche, già in corso in un’indagine antidroga della procura di Milano. Proprio quelle conversazioni hanno permesso agli inquirenti di ricostruire nei dettagli la preparazione e l’esecuzione della rapina. La persona presa di mira era un pusher già noto alle forze dell’ordine. Ma il caso ha incrociato, anni dopo, un altro fatto di cronaca: l’uomo è il padre di uno dei ragazzi minorenni che nel 2023, ai Murazzi, lanciarono una bicicletta da una balconata, ferendo in modo irreversibile uno studente universitario, Mauro Glorioso. Secondo quanto emerso, quel giorno del 2017, la moglie e i tre figli minorenni – tra cui il giovane oggi coinvolto nel processo per tentato omicidio – erano in casa e avrebbero assistito a tutte le fasi della rapina.
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